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Cosa c’entra una bistecca col patriarcato?

Di Rosa Carnevale • settembre 29, 2023

Gli stereotipi di genere passano anche dal cibo che mangiamo e dagli ambienti dove i nostri piatti vengono preparati e cucinati. “Agli uomini piace la carne e alle donne l’insalata” è un grande classico che a tutti sarà capitato di sentire. Mangiare è un’azione talmente naturale che normalmente non viene da pensarci su e se lo facciamo, non succede sempre in maniera consapevole. Ma tutto ciò che ordiniamo e ingoiamo sfila in una sorta performance in cui gli stereotipi imposti dalla società da sempre dettano legge. Così da una donna ci aspettiamo sempre che mangi con delicatezza, che curi la sua figura per rimanere desiderabile, seguendo i consigli di bellezza delle riviste femminili e i canoni estetici della moda. Negli uomini, invece, si premia l’appetito e l’abbondanza non stona mai. Per loro è sinonimo di forza, autonomia e virilità. Essere una donna, come ha spiegato bene Simone de Beauvoir ne Il secondo sesso, significa non poter sfuggire al fatto di essere un corpo (esce in questi giorni in Italia un bel libro di Manon Garcia per Nottetempo, Sottomessa non si nasce, lo si diventa, che ripercorre il pensiero della filosofa francese). E un corpo è fatto anche e soprattutto di ciò che mangia.

Anche la preparazione dei cibi e la suddivisione dei compiti nelle nostre case risente ancora di pericolosi bias culturali. In media sono le donne a occuparsi delle mansioni quotidiane che riguardano la spesa e la preparazione dei pasti principali. Un lavoro invisibile, non retribuito e che porta via ogni giorno tempo ed energie preziose. Il famoso carico mentale (raccontato perfettamente nel fumetto femminista della francese Emma, Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano, edito da Laterza) è fatto anche di cene da mettere in tavola.

Di questo e di altri temi legati alla cucina e a quello che mangiamo parla il volume della giornalista e scrittrice franco-algerina Nora Bouazzouni, Faminismo. Il sessismo è in tavola, edito in Italia da Le Plurali, casa editrice femminista. Con uno stile succulento e un quadro teorico strutturato, Bouazzouni fa luce sulle relazioni ambigue o distruttive tra carne animale e corpi delle donne, tra addomesticamento ed emancipazione, tra genere e gastronomia, scatenando domande e cercando di rispondere a comportamenti che già parlano da soli. Perché per esempio sono le donne che cucinano, ma di rado lavorano come chef stellate? A lungo la cultura gastronomica è stata tramandata di madre in figlia tra libri di ricette scritti a mano e pranzi di Natale. Ma cosa è successo invece nelle cucine dei ristoranti? Quando l'enogastronomia è uscita dalla sfera privata è diventata immediatamente "una cosa da uomini”. Nella catena alimentare del patriarcato, la donna è sempre l’anello debole. Così, se guardiamo i nomi dei grandi chef, ci rendiamo immediatamente conto che mancano le quote rosa. Mangiare è un atto naturale ma non così banale come a volte vorremmo pensare o far credere. Mangiare, nutrire noi stessi, nutrire gli altri è alla base della nostra vita di esseri umani. Il cibo è “piacere, conforto, patrimonio, necessità”, dice Nora Bouazzouni. “Gli uomini ne hanno fatto un’arma, ma la guerra non è finita”.

Faminismo: Il sessismo è in tavola di Nora Bouazzouni

Cosa c’entra una bistecca col patriarcato? Perché sono le donne che cucinano, ma di rado lavorano come chef stellate? Il lavoro agricolo è roba da maschi? Possiamo essere femministe e continuare a mangiare carne? Cos’è il “carnofallogocentrismo”? Qual è il nesso tra riviste femminili e disturbi dell’alimentazione? Il gustoso saggio della giornalista francese Nora Bouazzouni ci dimostra come tutto ciò che ha a che fare con il cibo abbia, da sempre, anche un ruolo nella sottomissione del genere femminile.

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Quando hai iniziato a interessarti al tema del sessismo in cucina?


Sono cresciuta vedendo mia madre passare la sua vita in cucina fino a tarda notte, mentre mio padre non ci ha mai messo piede. Ho capito subito che c'era qualcosa di sbagliato! Da adulta ho realizzato che il 99% degli chef che ricevevano copertura mediatica, premi e riconoscimenti erano uomini, mentre da sempre le donne si occupano della gestione quotidiana della cucina. Quando la casa editrice Nouriturfu mi ha proposto di scrivere un libro sull'argomento avevo già un blog femminista ed ero molto interessata al cibo, ma non ancora da un punto di vista così politico. Così ho colto l'occasione al volo.

Cosa c’entra una bistecca con il patriarcato?


Esploro il simbolismo machista della carne e delle diete di genere soprattutto nel mio secondo libro, Steaksisme, uscito nel 2021 (ancora non è stato tradotto in italiano). Ma già in Faminismo sottolineo che il consumo di carne è sempre stato sinonimo di potere, dominio e ricchezza - e quindi associato al maschile, a differenza delle verdure, che sono associate al femminile. Il patriarcato è una forma di organizzazione sociale basata sulla binarietà e sulla gerarchia di genere, in cui gli uomini sono superiori a tutti gli esseri viventi, donne e animali. Le donne, come gli animali da cortile, sono considerate a disposizione degli uomini, che le sfruttano, le opprimono, le maltrattano e le uccidono. Nella vita di tutti i giorni, possiamo vedere fino a che punto siamo considerate beni di consumo, un po' come le scaloppine sottovuoto al supermercato: basta fare una passeggiata per strada perché qualcuno ci fischi dietro, o per essere chiamate gallina, oca, cagna, gazzella, pollastrella, pantera, vacca... Tutti soprannomi e insulti animali!

Il patriarcato è radicato in tutta l'industria alimentare. Le donne possono cucinare a casa, ma farlo in un ristorante prestigioso è un lavoro da uomini... Dove sono le donne chef?


Sono ovunque! Meno numerose, ma comunque presenti. Le ragioni di questa estromissione sono molteplici: in primo luogo, da sempre sono state confinate nella sfera domestica, partendo dal presupposto che non sarebbero in grado di cucinare in modo creativo e sofisticato; in secondo luogo, spesso hanno visto negato l'accesso ad alcuni corsi di formazione professionale o, ancora, è stato vietato loro di esercitare una professione senza il consenso del marito; sono state maltrattate nelle scuole di cucina e nelle cucine dei ristoranti... Gli ostacoli sono numerosi. Il patriarcato esclude strategicamente le donne dai settori più promettenti in termini di prestigio, influenza, potere e denaro.

Il sostantivo stesso ("chef") è maschile...


È buffo, perché quando prendevo lezioni di italiano qualche anno fa, ho imparato che la parola "pittrice" si usava in italiano! Si discute molto della femminilizzazione dei nomi dei mestieri, ma trovo sconcertante che alcune persone si rifiutino di scrivere "cheffe" o "autrice" perché si suppone che sia "brutto" e che non si preoccupino affatto del genere della persona che svolge quella professione. Beh, non sono d'accordo: da un lato, perché rifiutarsi di femminilizzare i nomi delle professioni, soprattutto quelle più prestigiose (guarda caso, a nessuno dispiace scrivere “institutrice”, insegnante o “boulangère”, panettiera...) e/o quelle in cui le donne sono più rare o meno pubblicizzate, equivale a renderle invisibili; dall'altro, perché pochi lo sanno, ma fino al XVIII secolo tutti scrivevano "peintresse", "ingénieuse", "poétesse", "doctoresse"... In francese, nell'inconscio collettivo, "cuisinier" si riferisce a un cuoco di ristorante, mentre "cuisinière" si riferisce a un elettrodomestico o a una donna che si occupava della cucina quotidiana. Lo stesso vale per “couturier” (stilista) e “couturière" (sarta) ! Non appena un compito cosiddetto femminile viene svolto da un uomo al di fuori della sfera domestica, diventa prestigioso.

Oggi le donne sono sicuramente arruolate nelle brigate di cucina. Ma è come nell'esercito: difficilmente diventano generali, e quelle che lo fanno rimangono una minoranza. Si dice che le donne chef tendano a fare una cucina troppo materno-tradizionale e molti miti e stereotipi vengono ancora perpetuati dalla nostra società, alcuni al limite del ridicolo. Si dice per esempio che le donne non abbiano un palato costante e che soffrano di un gusto variabile a causa delle mestruazioni o, ancora, che facciano impazzire la maionese quando hanno il ciclo.


Nelle guide gastronomiche, negli articoli o in programmi come Top Chef, leggiamo o sentiamo ancora dire che una particolare cucina o un piatto sono in qualche modo "femminili". Ma questo non significa nulla. Stiamo cercando di naturalizzare ed essenzializzare gli esseri umani. È dannoso per tutti e ci impedisce di muoverci verso una maggiore giustizia sociale, allontanandoci dagli stereotipi che ci confinano.

Secondo un luogo comune, gli uomini mangiano più carne, le donne più frutta e verdura. Il genere influenza la nostra dieta? L’insalata e lo yogurt sono femmina e la bistecca è maschio?


Se uomini e donne mangiano in modo così diverso - gli uomini mangiano più carne rossa, bevono più alcolici, le donne sono più vegetariane, consumano più frutta e verdura - non è perché esistono gusti innati "femminili" e "maschili". Gli uomini non hanno assolutamente bisogno di più proteine delle donne, per esempio. È un'aberrazione che si legge ancora ovunque! I media, qualunque essi siano (pubblicità, stampa, serie, film...), sono responsabili della perpetuazione degli stereotipi di genere, sia attraverso i loro discorsi, sia attraverso i modelli che trasmettono o le rappresentazioni culturali che propongono. Questi stereotipi di genere sono quindi responsabili delle differenze nel nostro modo di mangiare, con conseguenze sulla nostra salute!

Noi donne impariamo a mangiare meno fin dalla nascita. In uno studio di Elena Gianini Belotti contenuto in Dalla parte delle bambine e che citi anche nel tuo libro, la pedagogista riferisce che le bambine vengono allattate di meno e svezzate prima dei maschi...


Sostiene che questo è un modo per insegnare alle bambine, fin da piccole, ad associare il cibo alla frustrazione... È terribile. La golosità e l'eccesso sono incoraggiati negli uomini, mentre ci si aspetta che le donne si controllino e si moderino... Se ci guardiamo intorno, chi è infatti che sta a dieta per tutta la vita, in una sorta di ossessione che sembra non finire mai?…

Quali sono i testi che definiresti più importanti per la tua formazione e che hanno fatto crescere la tua cultura femminista?


Sicuramente tutti i libri di bell hooks, Adrienne Rich, Audre Lorde. E poi Il secondo sesso di Simone de Beauvoir, King Kong Théorie, il primo saggio della scrittrice francese Virginie Despentes, Carne da macello. La politica sessuale della carne di Carol J. Adams, Il mito della bellezza di Naomi Wolf e moltissimi altri, soprattutto testi francesi, alcuni dei quali non sono stati ancora tradotti in italiano.
Mi viene in mente poi un libro che è stato fondamentale per me e che racconta l’assenza di donne nella storia dell’arte mondiale. Lo ha scritto Linda Nochlin e si intitola Perché non ci sono state grandi artiste?. Si tratta di un testo fondamentale che dimostra quali e quanti condizionamenti abbiano storicamente precluso alle donne la possibilità di eccellere nel campo dell’arte, ovvero di raggiungere risultati artistici paragonabili a quelli degli uomini.

Come possiamo migliorare la situazione attuale? Cosa significa essere "faministe"?


Combattere. Essere orgogliose. Non esercitare troppe pressioni su di sé. Aiutarsi a vicenda. Educare le nuove generazioni. Non arrendersi mai. Non lasciare mai che le persone si comportino da stronze, che siamo o meno direttamente interessate. Come ha scritto Audre Lorde: "Non sono libera se una donna non è libera, anche se le sue catene sono molto diverse dalle mie".



Faminismo: Il sessismo è in tavola di Nora Bouazzouni

Cosa c’entra una bistecca col patriarcato? Perché sono le donne che cucinano, ma di rado lavorano come chef stellate? Il lavoro agricolo è roba da maschi? Possiamo essere femministe e continuare a mangiare carne? Cos’è il “carnofallogocentrismo”? Qual è il nesso tra riviste femminili e disturbi dell’alimentazione? Il gustoso saggio della giornalista francese Nora Bouazzouni ci dimostra come tutto ciò che ha a che fare con il cibo abbia, da sempre, anche un ruolo nella sottomissione del genere femminile.

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