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Dare voce al dolore del mondo. La scrittura di Inès Cagnati

Di Matteo Moca • agosto 29, 2023

Jean Renoir, figlio del pittore impressionista Pierre-Auguste, maestro di Visconti e Rossellini e regista di alcune pietre miliari della storia del cinema come La grande illusione, L'angelo del male o La carrozza d'oro, nel film Toni del 1934, per certi versi precursore del neorealismo italiano, descrive una storia di sangue e amore ambientata negli assolati e aspri paesaggi della Provenza. Protagonisti di questo film sono quegli immigrati spagnoli e italiani (come i due protagonisti che nel film finiscono per innamorarsi prima di scivolare in un vortice di violenza) che nella prima metà del Novecento si muovevano verso il Sud contadino della Francia in cerca di lavoro.

Apparteneva allo stesso gruppo di famiglie migranti quella della scrittrice francese Inès Cagnati, che dal Veneto si trasferì in Francia e dalla quale, nel 1937, nacque Inès. Scomparsa nel 2007 a Orsay, autrice di un pugno di romanzi negli anni Settanta pubblicati dalla prestigiosa casa editrice Denoël e assai apprezzati in patria, i suoi libri sono in corso di pubblicazione da parte di Adelphi: dopo Génie la matta (con la traduzione di Ena Marchi) è da poco stato il turno di Giorno di Vacanza (traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala). Si tratta di due brevi romanzi accomunati dalla stretta correlazione tra un dettato scarno e sobrio e l'ambientazione aspra e spietata di una natura che non sembra in grado di accomodare l'esistenza dell'uomo, riflesso degli ambienti caratteristici dell'Aquitania meridionale dove si trovò a crescere la scrittrice.

Proprio in occasione dell'uscita in patria nel 1973 del romanzo Giorno di Vacanza, intervistata dalla scrittrice francese Laurence Paton, a seguito di una domanda circa il suo esordio tardivo, a quasi quarant'anni, nel mondo delle lettere, Cagnati dice che la scrittura rispondeva a un'esigenza profonda, quella di “rendere meno assurde certe vite fatte solo di miseria”. Così se Génie la matta è il racconto dell'amore straordinario e senza tentennamenti di una figlia per la madre rimasta incinta dopo una violenza carnale, “una disgrazia” la definiscono gli abitanti del paese, e dell'inesorabile violenza che accomuna le loro vite, Giorno di Vacanza è invece il racconto del sogno di una giovane ragazza di quattordici anni che lascia la sua povera e numerosa famiglia per andare in città, al liceo, con la possibilità, un giorno, di guadagnare un po' di soldi e fare loro del bene comprando “la terra buona, una terra senza sassi, dove il grano e le vigne sarebbero cresciuti fino al cielo. Una terra lontanissima da tutte le paludi”. C'è ancora in questo romanzo una terra sperduta invasa dalle paludi dove uomini e animali perdono facilmente la strada, ci sono i lavori che rimandano alle memorie famigliari di una figlia di contadini emigrata in un piccolo paese nel dipartimento di Lot-et-Garonne, ma più di ogni altra cosa c'è, ancora, un rapporto ancestrale e tragico tra una figlia e una madre.

Galla, la protagonista quattordicenne, decide di abbandonare il paese nonostante le suppliche della madre, che rimane inconsolabile per la partenza della figlia e non riesce a smettere di piangere ogni volta che la vede, perché il liceo è l'occasione per cambiare, in futuro, la vita della sua famiglia e il giorno di vacanza del titolo è una delle domeniche in cui la bambina, in sella alla sua bicicletta malmessa, percorre chilometri di strade, dalla città alla campagna, per tornare a casa, per tornare ad affondare nella palude e tra le braccia della madre.

Un itinerario simile deve aver percorso anche Inés Cagnati che si affrancò dalla famiglia contadina di origine per studiare lettere e poi insegnare in uno dei licei più famosi di Parigi, il Carnot: da questo punto di vista Giorno di vacanza, che appartiene per certi versi a quel miscuglio di verità autobiografica e finzione dell'autofiction, è un romanzo che riflette, in maniera forse più spietata, un periodo storico simile a quello descritto da Annie Ernaux in Il posto, quando l'istruzione era ancora uno strumento di emancipazione e, soprattutto, creava una frattura tra la famiglia contadina e provinciale e i figli istruiti e “di città” (“Studiare, una sofferenza obbligatoria per farsi una posizione e non sposare un operaio” come scrive appunto Ernaux). Seppure nel libro di Cagnati questo processo sia solo all'inizio, considerata l'età della protagonista, la vita di Galla al liceo, con l'amicizia sincera con Fanny o con gli argomenti studiati, comincia a sancire una mutazione dei punti di vista destinata pian piano a portare alla perdita dei riferimenti comuni.

Il viaggio di ritorno verso casa descritto da Cagnati appare però a Galla immediatamente diverso dal solito, perché la mamma non la aspetta lungo la strada, il padre le apre la porta e rabbioso la caccia fuori di casa a passare la notte e anche la natura, di cui ha imparato a sentire la voce tra le sue spire rigide e aspre, non le offre alcuna ospitalità, ma solo freddo e incubo. La situazione costringe Galla a vagare nel buio e a tenere occupata la mente, a non dare seguito a quel presagio che si materializza immediatamente nel lettore, perché provare a capire perché la madre non le ha aperto di nascosto dopo che il padre l'ha buttata fuori rischia di essere troppo doloroso, meglio affidarsi al soccorso dei pensieri (“Ci sono giorni in cui mi metto a sognare come una matta cose impossibili che mi annientano” confessa) e pedalare nel freddo della notte per scaldarsi. Ma Galla, inesorabilmente, torna con la mente alle scene che hanno scandito la vita famigliare e contadina (l'uccisione del maiale, la morte dei pulcini, il rapporto con le sorelle con cui dormire “testapiedi, ammassate in due letti” o le mura di casa che “si stanno completamente sgretolando per l'umidità”), alle immagini della madre, al bene che le vuole, alle bastonate del padre e al dolore per quel bambino maschio mai nato, all'affetto per la sorella più fragile, la piccola Antonella, e per il cane di famiglia, Daisy, e alla cattiveria delle altre sorelle e dei parenti.

Tra le pagine di Cagnati sembra possibile ritrovare quello scintillio nel dolore che caratterizza un altro grande duro romanzo materno, La storia di Elsa Morante, per la radicalità con cui viene raccontata la forza di un sentimento e per la stessa possibilità che ha la natura di essere ascoltata da un animo limpido come quello della protagonista. Galla, così come Useppe nella straordinaria scena del romanzo di Morante quando solo nella radura ascolta la voce degli animali, è infatti in grado di ascoltare questa terra dura che non concede né requie né frutti e che asseconda, con il suo andamento, le difficoltà che costellano la vita. Come nel libro di Morante inoltre, anche nelle opere di Cagnati non c'è mai alcuna spettacolarizzazione del dolore perché tra le sue pagine, così come nel film di Renoir citato all'inizio e, più in generale, nel neorealismo, la voce è quella della verità, che Cagnati scruta attentamente e a cui presta ascolto.

Il racconto di Giorno di vacanza, che procede per frasi brevi che acquistano un ritmo grazie alla ripetizione di ritornelli che contengono i segreti della storia (per esempio il riferimento alla “terra buona, una terra senza sassi”), è ammantato da un minimalismo che ricorda il cinema di un altro maestro francese, Robert Bresson, a cui la scrittrice pare debitrice per il rigore e la sobrietà di uno sguardo che riesce a donare a una voce neutra una straordinaria sensibilità, capace di restituire sulla pagina i sentimenti più laceranti, come le sofferenze più acute e le gioie ricordate, ma che soprattutto ha il coraggio di raccontare il tormento mai mitigato dello sguardo infantile.

Génie la matta di Inès Cagnati

Questo romanzo è la storia dell’amore, lancinante e assoluto, di una figlia, Marie, nata da uno stupro, per la madre, Eugénie detta Génie, che, ripudiata dalla famiglia e respinta dalla comunità dopo che ha generato una bastarda, si è murata nel silenzio e nella lontananza. Una madre che sa dirle soltanto: «Non starmi sempre tra i piedi», che raramente la abbraccia; una che tutti, in paese, bollano come matta e sfruttano facendola lavorare nei campi e nelle fattorie in cambio di un po’ di frutta, di un pezzo di carne. Ma l’amore di Marie è impavido, indefettibile – va oltre il tempo.

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Giorno di vacanza di Inès Cagnati

Non si può crescere in un paese di paludi, di piogge, di nebbie, di terre livide dove tutto muore, senza rimanerne segnati per sempre: di più, senza assomigliare a quel paesaggio inamabile. Né vivere in una casa fatiscente, sperduta fra boschi, malerbe e acque solitarie, dove anche l’amore è intollerabile violenza, senza desiderare che il mondo intero esploda «in una girandola di sangue». Nera come una zingara, taciturna come uno strano fiore selvatico, traboccante di rancore e di disprezzo per se stessa, Galla vorrebbe solo andarsene via, lontano dai troppi lutti, dal peso delle innumerevoli sorelle, da un padre abbrutito dal lavoro, dalla madre che ama troppo per sopportarne la dolente presenza.

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Matteo Moca, dottore di ricerca in Italianistica, è insegnante e critico letterario. Ha pubblicato la monografia, Tra parola e silenzio. Landolfi, Perec, Beckett (La scuola di Pitagora, 2017) e ha curato Madonna di fuoco e Madonna di neve di Giovanni Faldella (Quodlibet, 2019). Si occupa in particolare dell'opera di Tommaso Landolfi, e, tra gli altri, di Elsa Morante, Anna Maria Ortese e Georges Perec, oltre che delle convergenze tra letteratura e scienze umane. Scrive di letteratura contemporanea su quotidiani e riviste.



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