Dentro il capolavoro. Una pagina dal Signore degli Anelli

The Lord of the rings - Image by Sara Kipin
Nonostante superi le mille pagine, i lettori del Signore degli Anelli sono numerosi; se poi vi si assomma gli ancor più cospicui spettatori dei film, si può star certi che chiunque sappia di cosa parla: un piccoletto che per fronteggiare il male assoluto deve buttar via un anello cui è molto affezionato.
Considerato che l’insieme dei lettori è comunque inferiore a quello degli spettatori, ho deciso di presentare una pagina relativa a un personaggio che non appare nel film: Tom Bombadil.
Sul suo conto lo stesso Tolkien ammise che In realtà l'ho inserito perché lo avevo già inventato per conto suo […] Ma l'ho tenuto, così com’era, perché rappresentava certe cose che altrimenti sarebbero rimaste fuori. […] lui è un'allegoria, un esempio, la scienza naturale pura (reale) che ha preso corpo; lo spirito che desidera conoscere le altre cose, […] uno spirito che convive con una mente razionale, e che non si preoccupa affatto di «fare» qualcosa con la conoscenza.
Si può dunque perdonare il regista se, a fronte di un film terribilmente lungo, ha deciso di eliminare una delle poche parentesi del romanzo. Eppure l’essenza di Tom è proprio questa, vivere indisturbato e indisturbabile ai margini dalla storia.
Ma chi è Tom Bombadil? Sentiamo cosa ci dicono a riguardo i due secchioni del libro, Gandalf ed Elrond.
[…] [è Elrond a parlare] mi ero dimenticato di Bombadil, se egli è effettivamente lo stesso che tanti anni fa camminava per boschi e colli, ed era già allora più vecchio dei vecchi. Ma il suo nome era diverso: lo chiamavano Iarwain Ben-adar, il più anziano e senza padre. Molti e vari sono però i nomi che gli sono stati dati dopo dagli altri popoli: egli era Forn per i Nani, Orald per gli Uomini del Nord ed altro ancora. Una strana creatura, che avrei forse dovuto convocare al nostro Consiglio.«Non sarebbe venuto», disse Gandalf.«Potremmo inviargli però dei messaggi, ed ottenere il suo aiuto, non credi?», chiese Erestor. «Pare che il suo potere si eserciti anche sull'Anello».«No, non è così», disse Gandalf. «Dì piuttosto che l’Anello non ha su di lui alcun potere. Egli è il padrone di se stesso; non può tuttavia alterare l'Anello o annientarne il potere sugli altri. Bombadil adesso si è ritirato in un piccolo territorio compreso tra i confini stabiliti da lui stesso e che egli, in attesa forse che cambino i tempi, si rifiuta di oltrepassare».«Ma sembrerebbe che nulla lo spaventi all’interno di quelle frontiere», disse Erestor. «Non Può egli prendere l'Anello e conservarlo lì, per sempre innocuo?».«No», disse Gandalf, «non lo farebbe mai volentieri. Soltanto, forse, se tutti i popoli liberi della terra lo supplicassero; e ciò nonostante egli non ne vedrebbe il motivo. E se l'Anello gli fosse consegnato, egli lo dimenticherebbe presto, o ancor più probabilmente lo getterebbe via. Simili cose non hanno presa nella sua mente, ed egli sarebbe un custode dei più pericolosi; credo che questa sia una risposta sufficiente».
Un personaggio antico, a suo modo potente, ma disinteressato al corso della storia, che su di lui sembra non aver presa. Diciamolo: un’amabile idiota, visto che sarebbe capace di smarrire l’anello che tutti desiderano e per cui tutti combattono. Quando Tom appare in aiuto degli Hobbit, alle prede con un albero molto cattivo (il Vecchio Uomo Salice Grigio), non si può dire che il suo aspetto tenga fede ai titoli e al potere a cui ci ha preparato il concilio di Elrond.
Con un altro salto e un altro balzo apparve alla loro vista un uomo, o comunque un personaggio che somigliava molto a un uomo. Era troppo grande e pesante per essere un Hobbit, anche se forse non alto quanto uno della Gente Alta; ma era tanto rumoroso, camminava goffo con i suoi stivaloni infilati alle grosse gambe, e attraversava a passo di carica erbe e cespugli come una mucca che s’affretta all'abbeveratoio, che pareva proprio uno della Gente Alta. Aveva una lunga barba castana, e gli occhi azzurri e luminosi brillavano in un viso rosso come un pomodoro maturo, ma increspato da centinaia di rughe ridenti. Su una grande foglia, che teneva in mano come fosse un vassoio, eran disposti a mucchio candidi gigli.
Nonostante l’aria innocua, Tom salva gli Hobbit e li ospita a casa sua, dove li accoglierà con la compagna Baccadoro – anche lei per altro una discreta bollita.
«Venite, cara gente!», disse, prendendo Frodo per mano. «Ridete e siate felici! Sono Baccador, la Figlia del Fiume». Quindi passò loro accanto e andò a chiudere la porta, dicendo, mentre vi si appoggiava dolcemente: «Chiudiamo fuori la notte! Forse temete ancora le nebbie oscure e le ombre minacciose degli alberi e le acque profonde e gli esseri malvagi. Non abbiate più paura! Per questa notte siete sotto il tetto di Tom Bombadil».Gli Hobbit la guardavano estasiati e lei li guardò uno per uno e sorrise. «Dolce dama Baccador!», osò infine dire Frodo, sentendosi profondamente turbato e commosso da una gioia inspiegabile.
Nonostante somiglino a due fricchettoni, Tom e Baccadoro sono una parentesi sicura, inalterabile dalla storia – si direbbe: dal romanzo. Ricordano la fantasia infantile di avere “un angolino sicuro tutto per sé”, sempre a disposizione qualora le cose si mettano male; ma è anche la concretizzazione di un’appendice, un piccolo cumulo di pagine dove né il crudele Sauron né qualunque altra avventura possono entrare. Frodo reagisce così alle parole di Baccadoro:
Aveva provato a volte una sensazione simile, incantato dalla dolce voce degli Elfi; tuttavia questo sortilegio era diverso: un piacere meno nobile e meno intenso, ma più profondo e umano penetrava fino in fondo al cuore, meraviglioso eppure non misterioso. «Dolce dama Baccador!», disse nuovamente. «Ora capisco da dove veniva la gioia nascosta nelle canzoni che udivamo!
Le canzoni a cui allude sono quelle di Tom, che pare non riesca a far a meno di cantare per tutto il tempo. Un piacere meno nobile e meno intenso, ma più profondo e umano penetrava fino in fondo al cuore, meraviglioso eppure non misterioso: Tom potrebbe essere lo spirito della Natura, di cui presenta la divina indifferenza. Le cose vanno come vanno, e non c’è nulla di più normale. Così è la vita e questo è quanto: la saggezza dell’idiozia trova in Bombadill il suo eroe.
Ma Frodo è curioso, vuole capirci di più. Chi è davvero Tom Bombadil?

Tom Bomadil by Alan Lee
«Graziosa dama!», disse dopo qualche attimo Frodo. «Perdona, se la mia domanda ti sembrerà stolta, ma potresti dirmi chi è Tom Bombadil?».«È lui», rispose Baccador, interrompendo i suoi agili movimenti per sorridergli. Frodo la guardò perplesso. «È lui, come avete visto», ella disse in risposta al suo sguardo, «è lui il Messere di bosco, acqua e collina».«Allora tutta questa terra gli appartiene?».«Oh no!», rispose, e il suo sorriso svanì. «Sarebbe un fardello troppo pesante», soggiunse a bassa voce, come se parlasse con se stessa. «Gli alberi e le erbe e ogni cosa che cresce o che vive in questa terra non hanno padrone. Tom Bombadil è il Messere. Nessuno ha mai afferrato il vecchio Tom mentre camminava nella foresta, o mentre guadava il fiume, o mentre saltellava sulla sommità delle colline, sotto i raggi del sole o nell'oscurità. Egli non ha timore. Tom Bombadil è Signore».
Una risposta un po’ elusiva: “Il Messere”, una creatura che nessuno può dominare, neutrale come la Natura e altrettanto sfuggente, per lo meno agli occhi di chi si impone una meta. Ma Frodo non si accontenta e ci riprova, stavolta chiedendo direttamente a lui (evitando furbamente già nella domanda una risposta tipo “Il Messere”)
«Messere, chi sei?», gli chiese.«Eh, cosa?», disse Tom raddrizzandosi, mentre i suoi occhi rifulgevano nelle tenebre. «Non conosci ancora il mio nome? Questa è l’unica risposta. Dimmi: chi sei, solitario, essere senza nome? Ma tu sei giovane ed io molto vecchio. Il più anziano, ecco chi sono. Ricordate, amici, quel che vi dico: Tom era qui prima del fiume e degli alberi; Tom ricorda la prima goccia di pioggia e la prima ghianda. Egli tracciò i sentieri prima della Gente Alta, e vide arrivata la Gente Piccola. Era qui prima dei Re e delle tombe e degli Spettri dei Tumuli. Quando gli Elfi emigrarono a ovest, Tom era già qui, prima che i mari si curvassero; conobbe l'oscurità sotto le stelle quand’era innocua e senza paura: prima che da Fuori giungesse l'Oscuro Signore».
Un’altra risposta che non dice nulla, se non che Tom è molto vecchio; addirittura il primo venuto, in quanto “il più anziano”. Si potrebbe forse pensare, Tom è la Natura stessa? Una supposizione forse illecita. Sentiamo cos’ha da dirci lui stesso, tra una canzone e un pisolino.

«Oggi è il giorno in cui Baccador fa il bucato», disse, «e le pulizie autunnali. Troppo umido per degli Hobbit: è meglio che adatto per i lunghi racconti, per le domande e le risposte, e Tom incomincerà dunque a narrare».Raccontò loro molte storie favolose, a volte parlando sottovoce, come a se stesso, a volte guardandoli improvvisamente con i suoi luminosi occhi blu intenso che spuntavano da sotto le folte sopracciglia. Spesso la sua voce intonava un dolce canto ed egli si alzava, danzando per la stanza. Parlò loro di api e di fiori, delle abitudini degli alberi, delle strane creature della Foresta, di cose buone e di cose malvagie, di cose amiche e di cose nemiche e ostili, di cose crudeli e di cose gentili, e dei segreti nascosti sotto i rovi aggrovigliati. Man mano che ascoltavano, cominciarono a capire la vita della Foresta, una vita distaccata da loro, indipendente e armoniosa, e si sentirono estranei, in un mondo a sé.
Il capitolo si conclude da lì a poco, e il lettore è libero di dimenticarlo, riassorbito in migliaia di pagine in cui creature di ogni tipo si accapigliano attorno a un anello, per dominare o eludere il potere altrui. Altrove, indifferente, “la Foresta” prosegue una vita distaccata da loro, indipendente e armoniosa, in cui si abita come estranei, assorti nelle nostre piccole cose. Uno strano Eden in cui, sembra suggerire Tolkien, si ritorna solo alla fine del viaggio, come suggeriscono i pensieri di Frodo alla fine del romanzo, quando salpa dai Porti Grigi.
Allora gli parve che, come quando sognava nella casa di Bombadil, la grigia cortina di pioggia si trasformasse in vetro argentato e venisse aperta, svelando candide rive e una terra verde al lume dell'alba.
Francesco D’Isa (Firenze, 1980), di formazione filosofo e artista visivo, dopo l’esordio con I.(Nottetempo, 2011), ha pubblicato romanzi come Anna (effequ 2014), Ultimo piano(Imprimatur 2015), La Stanza di Therese (Tunué, 2017) e saggi per Hoepli e Newton Compton. Direttore editoriale dell’Indiscreto, scrive e disegna per varie riviste.