Geopolitica dello spazio. Conversazione con Emilio Cozzi
Se già sul pianeta Terra le cose non sembrano andare per il verso giusto, la situazione non migliora alzando lo sguardo verso il cielo.
Anzi, verso lo spazio. Rispetto a qualche decennio fa, il capovolgimento della situazione è impossibile da ignorare: per quanto la corsa allo spazio e la conquista della Luna siano figlie della Guerra Fredda tra Unione Sovietica e Stati Uniti, nel corso dei decenni abbiamo imparato a considerare la frontiera extraterrestre come una zona di pace, lontana dai conflitti terreni. Un luogo neutrale in cui – come avviene sulla Stazione Spaziale Internazionale – astronauti statunitensi e cosmonauti russi, oltre a giapponesi, europei e canadesi, collaborano pacificamente mentre, sul nostro pianeta, le stesse potenze sono alle prese con tensioni politiche che stanno rapidamente superando la soglia di guardia.
Eppure, la situazione sta cambiando. Lo spazio, un tempo considerato il luogo della pace, della diplomazia e della collaborazione, si sta trasformando in un’altra arena della competizione internazionale: nel quinto dominio bellico dopo quelli classici di aria, terra e mare, ai quali negli ultimi decenni si è aggiunto il dominio cyber.
“Speriamo ancora che lo spazio, come ha detto Samantha Cristoforetti, possa rappresentare un ponte tra le culture, i governi, le nazioni. Ma in questo momento è solo una speranza".
"Ci troviamo di fronte a un bivio ed è sempre più probabile che lo spazio diventi un’arena di competizione anche bellica”
Così spiega Emilio Cozzi, autore di Geopolitica dello spazio (Il Saggiatore), saggio giornalistico che analizza la corsa allo spazio come una nuova frontiera geopolitica, affrontando la competizione tra stati e attori privati per il controllo delle risorse e delle tecnologie spaziali, la space economy, le prospettive di colonizzazione extraterrestre e le implicazioni militari e strategiche.
Un’importante segnale di quanto le cose stiano cambiando si è avuta nel 2017: tra ottobre e gennaio, il satellite russo Launch-Olymp (anche noto come Olymp-K), spedito in orbita nel 2014 dal cosmodromo di Bajkonur, si è trovato a pochi chilometri – che nello spazio significa trovarsi a distanza pressoché nulla – dal sistema satellitare per le comunicazioni a banda larga Athena-Fidus, utilizzato per le situazioni di emergenza nazionale e sviluppato dall’Agenzia Spaziale Italiana assieme al Centre National d’Études Spatial francese.
Che cosa ci fa un satellite russo così vicino a un sistema impiegato dalle forze armate dei due paesi europei per garantire le comunicazioni d’emergenza? I dettagli di cosa sia successo sono rimasti riservati, ma la ministra francese delle Forze Armate Florence Parly, un anno dopo l’avvenuto, commenterà: “Era talmente vicino che avremmo potuto credere che stesse captando le nostre comunicazioni”. Un anno dopo ancora, la Francia ha dato vita, anche in seguito all’episodio, al Commandement de l’Espace, un servizio interforze dell’esercito francese per presidiare la frontiera extraterrestre.
È stato solo uno dei tanti segnali che confermano il cambio di clima e di approccio allo spazio, confermato poi – per fare solo alcuni esempi – dal varo nel dicembre 2019 della Space Force statunitense, una forza armata deputata a gestire l’astronautica militare, dalla decisione di Pechino di ribattezzare il suo braccio spaziale “Forza missilistica strategica” e dalla volontà di Vladimir Putin di prestare maggiore attenzione al rafforzamento “dell’industria missilistica e spaziale nel suo insieme”.

Geopolitica dello spazio: Storia, economia e futuro di un nuovo continente
Geopolitica dello Spazio è il racconto di una corsa, invisibile ma ininterrotta da più di mezzo secolo, per il predominio politico ed economico dello Spazio.
Visualizza eBookChe cos’è che ha reso – apparentemente all’improvviso, almeno per i profani – lo spazio un tema così scottante dal punto di vista geopolitico?
Due motivi. Prima di tutto, siamo convinti che lo spazio sia una dimensione che non ci riguardi, che quello che succede oltre il cielo, sulla Stazione Spaziale Internazionale, o a breve sulla Luna e poi chissà magari su Marte, sia una dimensione dell’attività umana che riguarda solo gli addetti ai lavori o gli appassionati. Non è così, ma è probabilmente per questa ragione che a buona parte dell’opinione pubblica è sfuggita l’importanza spaziale, che stava crescendo ormai da 10-15 anni.
Il secondo motivo è che, in effetti, lo spazio negli ultimi dieci anni ha vissuto non solo un rinascimento, ma anche un radicale cambiamento rispetto al passato, in primis a causa di Elon Musk e di SpaceX.
Lo spazio si è aperto a persone, aziende e governi che fino a dieci anni fa non potevano neanche pensare di andare nello spazio.
Negli ultimi dieci anni, il paradigma si è invertito e i grandi imprenditori del settore – Musk, Richard Branson, Jeff Bezos, Jed McCaleb e altri – hanno reso sempre più economico andare nello spazio. In questo modo, da una parte hanno aumentato l’appetito di chi qui vuole fare business, dall’altro hanno in qualche modo strutturato un potere letteralmente politico e militare nello spazio, per cui oggi c’è una corsa ad andare nello spazio per motivi tecnico-scientifici, per motivi di prestigio politico e certamente anche per motivi strategico-militari.
A proposito dei motivi strategico-militari: l’impressione è che il controllo dello spazio sia importante soprattutto in ottica terrestre, cioè per monitorare quello che avviene sulla Terra: le comunicazioni satellitari, il traffico aereo, quello marittimo e altro ancora. Si sta però già prefigurando il momento in cui il dominio spaziale diventa importante di per sé, in cui quindi ci sono proprio delle forze militari dispiegate a difesa di determinate porzioni di spazio che si ritengono di propria competenza?
Diciamo che quel momento, sebbene non ci siano eserciti schierati oltre l’atmosfera, lo stiamo già vivendo. Oggi andare nello spazio, presidiare l’orbita, avere tecnologie spaziali che nessun altro ha già di per sé configura una forma, non dico di predominio, ma certamente di vantaggio rispetto agli altri e in generale rispetto a paesi con i quali magari abbiamo dei conflitti o dei dissidi.
Già oggi un attacco volontario alle infrastrutture spaziali dei paesi Nato potrebbe costituire una violazione dell’articolo 5 e legittimare la controffensiva, per cui sarebbe già percepita, a tutti gli effetti, come un’invasione militare. Detto questo, io mi auguro che sia ancora lontano il dispiegamento di eserciti in orbita. Anche perché non servono soldati con il fucile nello spazio, bastano satelliti capaci di osservare, comunicare o persino colpire altri satelliti. È per questo che tutte le grandi potenze – dagli Stati Uniti alla Francia, fino a Russia e Cina – dispongono di un dipartimento, se non di una vera e propria forza armata, dedicato esclusivamente alle operazioni spaziali.
Al di là del caso Athena-Fidus, ci sono altri esempi di scontri spaziali, tentati o riusciti?
Ci sono stati numerosi tentativi – e continuano tuttora – di jamming o di hacking da terra contro infrastrutture spaziali ritenute nemiche. Per esempio, la Russia ha provato per circa un anno a disorientare o bloccare la rete Starlink, considerata un serio problema strategico. Insomma, questi episodi si verificano già da tempo. Un caso rilevante, risalente al novembre 2023, riguarda un razzo lanciato dallo Yemen verso Israele. È stato intercettato nello spazio da una controffensiva congiunta israelo-statunitense.
Si tratterebbe, a quanto pare, del primo atto di guerra svoltosi letteralmente oltre l’atmosfera.
È un missile che in quindici minuti avrebbe colpito l’obiettivo, ma è stato neutralizzato dopo soli sette minuti da un altro missile partito dalla controffensiva israeliana nello spazio. Questo episodio è considerato da molti come il primo esempio ufficiale di conflitto spaziale.
Nel libro segnali come, nei prossimi decenni, il mondo potrebbe fare esperienza di un conflitto spaziale. Ora, siccome sul tema è facile che l’immaginazione viaggi verso Star Wars, quale forma potrebbe prendere, più realisticamente, questo conflitto?
Le possibili forme di conflitto spaziale potrebbero includere attacchi contro i satelliti di nazioni nemiche. Esistono, per esempio, sistemi d’arma ASAT (armi antisatellite) in grado di distruggere un satellite avversario in mille pezzi; questa pratica non è però consigliabile a causa dei detriti che, rimanendo in orbita, rischiano di colpire anche i propri satelliti. Gli Stati Uniti, che però hanno promesso di non ripeterli, la Cina, l’India e la Russia hanno già condotto test di questo tipo. Più verosimili sono gli attacchi di tipo elettronico, come l’uso di laser o di sistemi che danneggiano i satelliti avversari, oppure veri e propri tentativi di hackeraggio per alterarne il funzionamento.
Questi scenari aprono la porta a forme di guerra cibernetica anche nello spazio, ben più realistiche delle ipotetiche battaglie tra astronavi.
In futuro, non si può escludere la possibilità di portare militari in orbita con armi avanzate, anche se questa eventualità sembra lontana e molto complessa. Va ricordato che, all’inizio della progettazione di stazioni come lo Space Shuttle o la Mir, si pensò persino a piattaforme militari orbitanti, pronte a sorvegliare la Terra e, se necessario, a intervenire. Fortunatamente, la storia ha preso un’altra direzione, ma esiste già un arsenale di armi spaziali che, purtroppo, potrebbe evolversi ulteriormente.
Lo spazio fa gola anche per via delle risorse che si possono trovare sulla Luna o estrarre dai meteoriti. La storia però ci insegna che, nel momento in cui ci sono risorse da conquistare, possono anche nascere conflitti… Ma questa possibilità di accaparrarsi le risorse spaziali è qualcosa ancora molto al di là da venire o è invece più vicino di quanto sembra?
Non si tratta di una prospettiva così lontana nel tempo. Al momento, l’estrazione di risorse extra-atmosferiche non è economicamente sostenibile: i costi per recuperarle e portarle sulla Terra superano il valore stesso delle risorse. Tuttavia, nelle future esplorazioni spaziali, a partire dalla Luna, l’obiettivo sarà sfruttare le risorse in situ, sia per ridurre la quantità di materiali da trasportare dalla Terra, sia per rendere più autonome le missioni stesse.
Per esempio, l’acqua sulla Luna esiste (sotto forma di ghiaccio) e risulta preziosa poiché, scomponendola, si ottengono idrogeno (usato come propellente) e ossigeno (fondamentale per la vita). Oltre all’acqua, sulla Luna ci sono anche elio-3 e terre rare, elementi strategici che possono avere un impatto geopolitico considerevole. Gli asteroidi, poi, potrebbero contenere metalli preziosi in quantità tali da rivoluzionare interi mercati: un esempio è l’asteroide “16 Psyche”, ricco di platino e altri metalli di grande valore.
Sebbene oggi tutto ciò appaia ancora fantascientifico, i costi di lancio e di produzione si sono notevolmente ridotti in appena dieci anni. Per questo motivo, credo che entro i prossimi vent’anni l’estrazione di risorse sulla Luna o sugli asteroidi – anche con l’intento di riportarle sulla Terra – sarà sempre meno fantascientifica.
Gli Stati Uniti sono ovviamente tra i protagonisti di questa nuova corsa allo spazio. La Russia rimane un attore importante. Mi sembra però di capire che la Cina, ancora una volta, sia la potenza emergente con cui bisogna fare i conti.
La Russia vanta una storia spaziale gloriosa. Fino al 1965, l’Unione Sovietica era nettamente in vantaggio sugli Stati Uniti: basti pensare al primo satellite in orbita, al primo uomo e alla prima donna nello spazio. Successivamente, dal 1965 al 1969, gli USA investirono ingenti risorse e conquistarono il primo grande traguardo: arrivare sulla Luna.
Oggi la Russia deve affrontare soprattutto problemi economici e finanziari. Ha ambizioni, come mantenere i cosmonauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) fino al 2028 o 2030 e costruire una propria stazione spaziale (la ROS), ma non è chiaro dove reperirà i fondi necessari. Recentemente, Putin ha rimosso Yuri Borisov dalla guida di Roscosmos, sostituendolo con Dmitry Bakanov, un giovane di 39 anni soprannominato l’“Elon Musk russo”, con l’obiettivo di trovare finanziamenti privati.
Al di là della Russia, la Cina si è ormai affermata come la seconda superpotenza spaziale, grazie a obiettivi ambiziosi e a una forte pianificazione governativa.
Lo si è visto anche durante la pandemia di Covid, periodo in cui i lanci sono proseguiti senza rallentamenti. Inoltre, la Cina può contare su decine di migliaia di nuovi ingegneri aerospaziali ogni anno e su una forza lavoro di circa 180.000 persone impiegate nel settore, contro le 40-50.000 dell’Europa.
Gli Stati Uniti, per ora, rimangono saldamente al comando, sostenuti anche dalla spinta di Elon Musk: nell’ultimo anno, la sua azienda ha effettuato circa 135 lanci, mentre la Cina si è attestata a quota 68-70 e l’Europa soltanto tre. Tuttavia, si stanno delineando nuovi scenari, con l’emergere di un terzo blocco di Paesi (come gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita e l’India) che non vanno affatto sottovalutati.
Rimane un ultimo tema, ovvero l’Europa. L’Agenzia Spaziale Europea è sempre stato un attore importante. Adesso, l’impressione è di star perdendo colpi anche nei confronti di attori emergenti come l’India. Ci stiamo ritagliando, anche in questo caso, un ruolo più che altro normativo o siamo ancora in gioco?
Non ci stiamo ritagliando un ruolo normativo, purtroppo lo stiamo subendo. Fino a dieci anni fa, per esempio, l’Europa era leader mondiale nei lanci commerciali, anche grazie al rallentamento statunitense dopo i disastri dello Space Shuttle. Con Ariane 5, dismesso due anni fa, non avevamo rivali. Oggi, invece, manteniamo la leadership solo nelle missioni scientifiche. Negli ultimi due o tre anni abbiamo iniziato a subire gli effetti di scelte fatte dieci anni fa, che ci hanno portato a un progressivo rallentamento, mentre Stati Uniti e Cina hanno accelerato il passo. Il divario, purtroppo, è ora evidente.
Dobbiamo dimostrare se siamo ancora in grado di far sentire la nostra voce con la stessa forza di un tempo. Un dato emblematico: l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) investe circa 14 miliardi in tre anni (secondo l’ultima conferenza ministeriale), mentre gli Stati Uniti investono 25 miliardi ogni anno. È chiaro che competere risulta difficile, e anzi è già notevole ciò che siamo riusciti a ottenere finora.
Mi auguro che l’Europa aumenti gli investimenti nello spazio: il budget pro capite europeo è davvero troppo poco. È importante capire che chi rimane indietro nello spazio resta indietro anche sulla Terra, e questo è un lusso che non possiamo permetterci. Quando si rimane indietro, si finisce poi per svolgere il ruolo di semplici regolatori. E di certo non dovrebbe essere questa la nostra ambizione. La speranza è sempre la stessa: che l’Europa ritrovi la volontà e le risorse per tornare competitiva e continuare a contribuire all’avanzamento scientifico e tecnologico nello spazio.

Geopolitica dello spazio: Storia, economia e futuro di un nuovo continente
Geopolitica dello Spazio è il racconto di una corsa, invisibile ma ininterrotta da più di mezzo secolo, per il predominio politico ed economico dello Spazio. Da quando la missione Apollo 11 ci ha permesso di immaginare davvero la nostra esistenza al di fuori dell'orbita terrestre, prima le nazioni più forti (Stati Uniti, Russia, Cina), poi le aziende e gli imprenditori più ambiziosi del mondo hanno capito che il centro del loro potere e il futuro dei loro investimenti non si trovava sulla Terra. I signori dell'universo hanno cominciato a occuparsi di agricoltura, medicina, turismo e finanza: dalle connessioni internet della Luna alla telemedicina orbitale, dalle estrazioni minerarie sugli asteroidi fino alle coltivazioni sui deserti di Marte, lo Spazio è diventato il luogo in cui è possibile cambiare le nostre vite quotidiane.
Visualizza eBookAndrea Daniele Signorelli è giornalista freelance, si occupa del rapporto tra nuove tecnologie, politica e società. Scrive per Domani, Wired, Repubblica, Il Tascabile e altri. È autore del podcast “Crash - La chiave per il digitale”.