Intermezzo, di Sally Rooney
Dopo aver letto il quarto romanzo di Sally Rooney, Intermezzo (tradotto da Norman Gobetti e pubblicato da Einaudi come Parlarne tra amici, Persone normali e Dove sei, mondo bello), mi è tornata in mentre una frase di un bellissimo romanzo di John Barth, L’opera galleggiante: “Per essere forti, basta smettere di essere deboli”.
È quello a cui pensano i personaggi di questa storia, mentre si trovano in una sorta di “intermezzo”, appunto, delle loro vite, un intervallo, un punto grigio, o beige (come le parole che andrebbero usate, mica come quelle rosse che traboccano sangue), un momento di passaggio che per Peter e Ivan, i due fratelli protagonisti che si dividono i capitoli, è segnato dalla morte del padre, mentre provano ad accogliere e a farsi accogliere nelle vite, già complicate, di Sylvia, Naomi e Margaret.
Se in Dove sei, mondo bello, i capitoli si alternano tra scambi di mail in prima persona e racconto tradizionale delle vite dei personaggi in terza, qui i capitoli dedicati a Peter, il fratello maggiore, vengono scritti attraverso uno stile paratattico, per molti più difficile da seguire rispetto allo stile ipotattico usato da Rooney per muovere la vita di Ivan. Forse perché diventando adulti, superati i trent’anni, la vita si complica, oppure no, è il contrario, arriva a somigliare, ogni giorno di più, a quello stile in cui non c’è alcuna gerarchia tra le frasi, in cui la marea dei vent’anni si è calmata e tutto sembra essere più in equilibrio.
E come negli altri romanzi, Intermezzo è ambientato a Dublino e dintorni (in questo caso Kildare, Sligo), e il mondo di fuori, quello in cui vivono gli altri, dove nascono le relazioni, le amicizie, gli amori, i ricordi, viene ricalcato, immaginato da questi personaggi alla continua ricerca di sé e dei propri spazi, per renderlo più vivibile, lineare, sensato. Rooney sa bene che, come diceva Calvino, la letteratura è “la terra promessa in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere”, e a dispetto di un’epoca in cui in cui mancano la visibilità, la molteplicità e soprattutto l’esattezza, rimette le parole al loro posto, le muove, con la stessa sicurezza che mostra Ivan negli scacchi, e restituisce loro tutte quelle sfumature che sembravano aver perso accanto alle emoticon, nei commenti sui social, nella fretta di giornate sempre piene in cui non importa come, l’importante è farsi capire.
Tornando agli scacchi, non è necessario essere esperti, saperci giocare, per entrare dentro questa storia, così come non serve conoscere le regole del baseball per capire i romanzi di DeLillo e di Auster. Ivan è un abile giocatore, anche se ce ne sono altri, in giro, migliori di lui. Gli scacchi, per lui, per l’autrice, per noi, non sono altro che un espediente per aiutarlo ad affacciarsi nel mondo, per chiedersi se sia il caso o meno di fare come fanno gli altri, che si incontrano, si parlano, si scoprono, si lasciano andare. Per conoscere Margaret, che ha trentasei anni, che ne ha già avuti ventidue come Ivan, che ha già vissuto diverse vite, in una di queste era sposata con un alcolista, e che adesso, come lui dopo la morte del padre, sta provando a costruirsene una nuova. Entrambi, piano piano, si accorgono che insieme stanno costruendo “una nuova relazione che è anche un nuovo modo di essere”.
Peter, che ha trentadue anni e sei mesi, ritrova con il tempo Sylvia, la sua ex, e come il fratello minore anche lui, in fondo, ha bisogno di un po’ di gentilezza, di qualcuno che possa prendersi cura di lui. E intanto ospita Naomi, coetanea di Ivan, che a differenza sua ama la vita, di un amore incondizionato. Mentre Peter è innamorato di entrambe, ed è convinto che essere adulti significhi essere normali, Ivan si innamora di Margaret, tanto da voler crescere in fretta per convincerla che in quello che sta nascendo tra loro non c’è nulla di male. “È la tua vita – gli dice lei – non augurarti che passi veloce”.
Un intermezzo, questo, in cui viene messa a fuoco l’irreversibilità del lutto: “La consapevolezza che l’età adulta, in cui ormai stava definitivamente entrando, e che sarebbe durata per il resto della sua vita, l’avrebbe trascorsa senza suo padre. Che stava diventando una persona che suo padre non avrebbe mai conosciuto”. In cui il lutto non è altro che un aspetto, un lato della perdita, della mancanza, dell’assenza, della paura, tipica dell’età adulta, di avere bisogno degli altri per essere felici, per vivere una vita “giusta”, una vita “vera”. Sembra quasi confessarlo, Rooney, attraverso la voce di Sylvia: “Ti sei innamorato, e hai paura. È la solita storia, non ti piace essere vulnerabile”.
C’è chi ha parlato di marxismo, perché l’autrice si è definita marxista e i suoi personaggi, però, non sembrano molto coerenti ai suoi ideali, sono tutti bianchi, tutti borghesi, o quasi. C’è chi ha tirato in ballo Jane Austen, anche se Rooney, per molti, non raggiunge quel livello di satira, umorismo, ironia. C’è chi ha parlato di romance, in senso dispregiativo, come per dire che lei scrive solo romanzi rosa, romanzi d’amore, romanzi che fanno leva sulle emozioni. Per me i grandi romanzi, come quelli che scrive Sally Rooney, sono quelli in grado di cogliere i dettagli dell’animo umano, di prendere le distanze dalla vita quotidiana, per poi tornarci attraverso una luce nuova, di richiamare i grandi del passato (in questo caso Shakespeare, Eliot, Yeats, Joyce, Wittgenstein) e poi smarcarsi da loro, trovare la propria voce, una voce che sia credibile, riconoscibile.
Intermezzo, come fanno i grandi romanzi, una volta letta l’ultima riga, con quel rimando (metaletterario, forse) alla vita, non ti offre risposte, ma ti lascia tante domande, una più importante dell’altra:
Se le cose che ci succedono non le raccontiamo a nessuno, è come se non fossero mai successe?
“C’è una differenza fra il volere una cosa e il pensare che la cosa che vuoi sia una cosa buona?”
“Cosa ci è davvero necessario per poter vivere?”
“I sentimenti fra le persone non hanno una loro verità?”
Giorgio Biferali, scrittore, docente dell’accademia Molly Bloom e insegnante di italiano e storia in un liceo. Collabora con quotidiani e riviste culturali, dove si occupa principalmente di cultura pop. Il suo ultimo romanzo è Sono quasi pronto (Ponte alle grazie).