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La profezia di Philip K. Dick

Di Francesco Boer • marzo 19, 2025I grandi autori

“Sto perdendo il contatto con la realtà? Oppure è la realtà che sta davvero scivolando verso un’atmosfera di tipo dickiano?”

È lo stesso Philip K. Dick a chiederselo, in una lettera a Claudia Bush, datata luglio 1974. Ma è una domanda che potremmo porci anche oggi. Lo scenario mondiale è ormai instradato verso una deriva sempre più autoritaria, anche grazie allo sviluppo di una tecnologia che promette di schiudere nuovi orizzonti di libertà, ma che nei fatti ci imprigiona in un labirinto di menzogne e mezze verità. Sì, pare proprio la trama di uno dei romanzi di fantascienza scritti da Dick.

La tentazione di leggere le storie di PKD come una profezia è forte, e lo stesso autore si confrontò per anni con questa possibilità. Il 1974 fu per Dick un punto di svolta: fra febbraio e marzo attraversò un periodo di crisi, che culminò in una serie di visioni dal forte connotato mistico. Per gli anni a venire, lo scrittore rielaborò questa esperienza in una corposa serie di appunti privati, creando un vero e proprio sistema spirituale di stampo gnostico. Il volume che raccoglie queste sue note è stato pubblicato solo dopo la morte dell’autore, con il titolo di Esegesi; in Italia è stato dato alle stampe da Fanucci, nel 2016.

Uno dei tratti più interessanti dell’Esegesi riguarda proprio il rapporto che Dick aveva nei confronti dei propri romanzi. È evidente che per lui non si trattava solo di storie inventate e confezionate per intrattenere il pubblico; fra le proprie righe, PKD scorgeva gli indizi di una rivelazione salvifica, svelata gradualmente e per enigmi, filtrata nella trama all’insaputa dell’autore stesso. I suoi libri non gli apparivano come finzione, ma gli parlavano della realtà; o meglio, denunciavano che la realtà vera era stata sommersa da una gabbia di menzogne che corrompe la nostra consapevolezza.

Recentemente, Mondadori ha accolto Philip K. Dick nella prestigiosa collana dei Meridiani: un riconoscimento del prestigio dell’autore, che consegna definitivamente al passato l’ingiusto stigma che vedeva nella fantascienza una sorta di letteratura di serie B.

Raccogliere le diverse opere di PKD in un unico volume non è però una semplice scelta di comodità; alla luce dell’Esegesi, si potrebbe interpretala come la ricomposizione di un canone, che altrimenti sarebbe rimasto frammentato nei vari racconti pubblicati nel corso degli anni da Dick.

In una pagina dei suoi appunti, Dick afferma che l’ordine cronologico in cui sono stati scritti i suoi romanzi va ricombinato, e annota la sequenza corretta in cui andrebbero letti.

L’incipit della rivelazione è Un oscuro scrutare del 1977. Il tema del romanzo è la tossicodipendenza: il protagonista Bob Arctor ha una dipendenza dalla Sostanza M, una nuova droga dai micidiali effetti collaterali. La sua casa è un porto aperto, a cui approda tutta una serie di personaggi dediti agli stupefacenti; nessuno di loro però sa che Bob è un agente della narcotici sotto copertura. Il tocco dickiano è che non lo sa neppure Bob stesso: la Sostanza M ha infatti l’effetto di indurre scissioni di personalità, e così il protagonista si ritrova in lotta contro sé stesso.

In questa vicenda, il Dick profeta vede la descrizione dell’occlusione a cui la mente di tutti noi è sottoposta; un processo che porta alla dimenticanza della propria vera identità. Di pari passo, l’occlusione crea uno pseudo-mondo, una realtà spuria che si sovrappone a quella primigenia: al tempo stesso un’allucinazione, e un dispositivo per mantenere le menti incarcerate nell’illusione.

In un passo dell’Esegesi si legge che “Qualunque linguaggio menzognero crea all’istante in una singola mossa una pseudo-realtà, contaminando la realtà, fino a liberare la Menzogna.” Negli anni in cui siamo, in cui le fake news hanno invaso il discorso pubblico al punto tale da influenzare la realtà, le parole di Dick non possono che apparire sinistramente premonitorie.

Il passo successivo si trova in Scorrete Lacrime, disse il poliziotto, del 1974. La vicenda segue la caduta di Jason Taverner, un famoso presentatore televisivo, che da un giorno all’altro si ritrova in un mondo parallelo: del tutto simile a quello da cui proviene, se non fosse che qui nessuno ha mai sentito parlare di lui.

Ai fini del sistema gnostico di Dick, il punto essenziale della trama è che esistono diversi mondi, in competizione fra loro. Quella che crediamo realtà è di fatto un’illusione collettiva. Ma il mondo reale resta pur sempre attivo, e cerca di filtrare oltre lo pseudo-mondo che lo copre.

Sempre nell’Esegesi, PKD scrive:

"L’occhio nel cielo, Tempo fuor di Sesto, Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Ubik e Labirinto di morte: sono lo stesso romanzo scritto più volte. I personaggi sono tutti freddi e sdraiati insieme al suolo, mentre creano un mondo che è un’allucinazione di massa".

La chiosa all’appunto è fulminante: “Quello che bisogna mettere da parte è la falsa idea che un’allucinazione sia una questione privata.”

Nuovamente, non si può fare a meno di pensare al nostro presente, in cui la realtà sembra un referente perduto, e in cui le masse si muovono come foglie al vento, seguendo deliri collettivi. Personaggi inconsapevoli di una storia scritta da altri, camminiamo verso l’abisso con la sicurezza spavalda dei sonnambuli.

Le esperienze mistiche del febbraio-marzo 1974, e le rielaborazioni successive dell’Esegesi, confluiranno in Valis, che forse è il punto cardinale dell’opera di Dick. C’è un tema in particolare, che nell’Esegesi ricorre con insistenza, e che può sembrare assurdo; buono magari per un romanzo di fantascienza, come Valis si presenta, ma difficilmente credibile quale convinzione spirituale. Eppure, Dick era convinto che il XX secolo fosse un’illusione. Quelli in cui viveva non erano davvero gli anni ’70 del Novecento: si trattava di una linea temporale fasulla, sormontata a quella vera, che di fatto corrisponde ai primi anni dell’era cristiana, l’epoca di cui parlano gli Atti degli Apostoli.

Di fronte a questo genere di ipotesi, si può reagire in due modi: semplicemente scartando l’affermazione, svalutandola come il vaneggiamento di una mente debole; o credendoci banalmente, elevando Dick al livello di un oracolo infallibile.

Ma la grandezza di PKD stava anche nel dubitare di sé stesso: l’Esegesi non è il delirio di un pazzo convinto di essere nel giusto, ma un continuo montare e smontare tesi, non senza una sana dose di auto-ironia. L’autore si critica, scopre nuovi significati ma soprattutto nuovi dubbi, ed è sempre disposto a disfare tutto per ripartire da capo. La sua non è una verità pronta, ma una rivelazione che bisogna affrontare. Dick lotta con le sue visioni come Giacobbe contro l’angelo.

Un visionario non è per forza o un pazzo, o un profeta. Più spesso, è entrambe le cose, e nessuna delle due. A volte ciò che viene considerata follia è piuttosto lo sforzo di allontanarsi dal consenso comune, dal sedicente buon senso che è invece una demenza della peggior specie. È un percorso che passa per tentativi ed errori, ma che almeno si discosta dall’inerzia di chi rimane nell’irrealtà. Se però l’allucinazione è collettiva, chi se ne discosta verrà trattato come un pazzo da chi ancora è in preda al delirio.

L’attualità di Dick sta proprio nel suo esser inattuale, anzi: talmente inattuale da volersi discostare dalla linea temporale in cui viveva. Questa sensazione di vivere in una “timeline sbagliata” è tornata alla ribalta nei nostri anni, sotto forma di un trend nei social network; un po’ meme, un po’ una teoria para-complottista, alimentata dallo stesso “non ci credo, però…” che dava forza alle superstizioni dei tempi passati.

Ne parla Mattia Salvia, curatore della pagina Instagram “Iconografie del XXI secolo”, nel suo libro Interregno. Il mondo che ci circonda appare sempre più assurdo; si moltiplicano le epifanie di una sgraziata demenza, che potrebbero far sorridere se apparissero su un sub di Reddit, ma che fanno rabbrividire quando provengono da istituzioni in grado di condizionare la sorte del mondo.

Così, fra i commenti di un video sconcertante caricato su TikTok, può capitare di leggere: “A un certo punto il mondo dev’essere deviato su un binario temporale sbagliato, voglio tornare a quello giusto e sensato”. È una reazione mista, di fastidio e rassegnazione; non si tratta di una risposta seria, né di uno scherzo liberatorio, e in ciò è perfettamente adatta alla nostra epoca sospesa, incagliata in una transizione che non si risolve – per l’appunto, un interregno.

In questa mancata risoluzione emergono anche i limiti profetici di Dick. La sua visione è lucida nel descrivere, per speculum et in aenigmate, il circolo vizioso per cui le forze autoritarie inducono una follia collettiva, che porta a rinforzare e incrudelire il dominio tirannico, che a sua volta aumenterà la potenza del delirio di massa. Ma PKD diventa meno attuabile quando si tratta di cercare una via di fuga da questo samsara. Non che da parte sua manchino tentativi: specialmente in Ubik e in Valis, lo scrittore cerca di tratteggiare simbolicamente una soluzione, che però sarebbe difficilmente traducibile in un’azione concreta.

In Valis si assiste all’intervento di un’entità soprannaturale, la stessa che nell’Esegesi Dick riconosceva come la sorgente delle visioni che gli erano giunte. Grazie a questa entità, a cui PKD assegna il nome di Zebra, sarebbe possibile dissolvere la “Prigione di Ferro Nera”, la condizione metafisica che ingabbia la vita.

Sempre nell’Esegesi, Dick scrive: “Se l’universo è un cervello, la Prigione di Ferro Nera è un rigido complesso ossificato, e Zebra la tossina metabolica (info vivente) progettata per liquefarla e cancellarla dall’esistenza restituendole elasticità, il che significa farle cessare di mettere in circolazione sempre lo stesso pensiero… sperimentato da noi come duemila anni di quello che di fatto è un tempo spurio, in quanto lo stesso pensiero viene ripetuto in eterno: essendo rigida, la Prigione di Ferro Nera ha cessato di crescere (nel senso di evolversi).”

Analogamente, la forza Ubik che nell’omonimo romanzo appare come un misterioso agente di salvezza, parla di sé con toni che ricalcano da vicino quelli delle rivelazioni gnostiche della tarda antichità:

“Io sono Ubik. Prima che l'universo fosse, io ero. Ho creato i soli. Ho creato i mondi. Ho creato le forme di vita e i luoghi che esse abitano; io le muovo nel luogo che più mi aggrada. Vanno dove dico io, fanno ciò che io comando. Io sono il verbo e il mio nome non è mai pronunciato, il nome che nessuno conosce. Mi chiamo Ubik, ma non è il mio nome. Io sono e sarò in eterno.”

Emozionante, senza dubbio, nel racconto. Ma dove cercare questa forza salvifica, nella nostra realtà?

Una critica che molti lettori muovono ai romanzi di Philip K. Dick riguarda il loro finale, che spesso appare brusco, quasi privo di una chiusura vera e propria. Lo stesso si potrebbe dire della sua cosmologia: è estremamente efficace nel dipingere il mondo distorto in cui ci troviamo, ma manca di una conclusione che possa uscire dalle pagine e trasformarsi in una pratica di vita. Dick ci indica il problema, ma è vago sulla soluzione.

Personalmente, trovo che questa incompletezza sia parte integrante del fascino delle storie di Dick; e che sia un valore aggiunto anche nella sua ricerca spirituale. PKD non ci consegna un sistema già pronto, una via chiara e ben battuta che anche noi possiamo seguire. Evidenzia ciò che non va, ma in ultima analisi lascia a ciascuno di noi la ricerca di una via di fuga dalla Prigione di Ferro Nera.

Il pensiero di Philip K. Dick a uno sguardo superficiale può apparire sconclusionato, ma forse è proprio la mancanza di conclusioni a costituire uno dei suoi punti di forza. Se quello lasciato da Dick fosse stato un impianto completo, che dal problema porta direttamente a una soluzione, sarebbe stato a modo suo un altro circuito imprigionante, un pensiero che in quanto fissato minaccia di diventare un ostacolo all’evoluzione. La vera libertà, sembra volerci dire, è quella che si cerca con le proprie forze.

Un oscuro scrutare di Philip K. Dick

Nella città di Los Angeles una nuova droga, chiamata "Sostanza M", semina follia e devastazione. Nessuno sa cosa contenga, da dove provenga o chi la stia vendendo. Ma sono in tantissimi a usarla. Uno di loro è Bob Arctor, le cui giornate trascorrono tra sballi, incubi, conversazioni assurde con i suoi amici tossici, avventure tragicomiche. Bob è in realtà un agente della Narcotici infiltrato, anche se nessuno sa della sua doppia vita. Quando deve riferire ai superiori, indossa una tuta disindividuante, in modo che neanche i colleghi possano riconoscerlo, e diventa l'agente Fred.

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Scorrete lacrime, disse il poliziotto di Philip K. Dick

Nel 1988 gli Stati Uniti, dopo una Seconda guerra civile, sono diventati uno stato totalitario, nel quale vive un'élite di individui superiori geneticamente modificati, i Sei. Uno di loro è Jason Taverner, ex cantante e ora star televisiva. Una mattina Taverner si sveglia in una stanza sconosciuta in uno squallido albergo, sprofondato di colpo nell'anonimato. Nessuno ha mai sentito parlare dei suoi dischi o del suo show, seguito fino al giorno prima da trenta milioni di americani. Nessuno riconosce il suo volto; il suo agente e il suo avvocato negano di sapere qualcosa di lui. Di lui non resta alcuna traccia, né nella memoria dei suoi contemporanei né negli archivi della polizia.

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Gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick

San Francisco 1992. La Terra è un pianeta desolato, devastato dalle guerre nucleari; gli esseri umani sono in gran parte emigrati nelle colonie esterne e numerose specie animali si sono estinte, tanto che possedere un animale domestico vivente è diventato un ambito status symbol. Per chi non può permettersi un cucciolo "vero", come il cacciatore di taglie Rick Deckard, ci sono le pecore elettriche... L'umanità vive infatti affiancata da diversi modelli di robot, dalle semplici macchine-utensili ai vicini di casa artificiali, fino a sofisticati modelli di androidi assolutamente indistinguibili dagli esseri umani, anzi persino più intelligenti, come i Nexus-6.

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Ubik di Philip K. Dick

Esiste una vita oltre vita, uno spazio etereo in cui lo spirito dei defunti sopravvive alla morte in una dimensione sospesa tra il buio e la luce, tra il colore e la bruma. Conservati in criostasi all'interno di speciali strutture, i defunti possono comunicare con i loro cari tramite un congegno elettronico e fornire conforto, lenire solitudini, dispensare consigli. Ed è per avere consiglio che Glen Runciter, a bordo della sua aviomobile, sbarca sul tetto del Moratorium Diletti Fratelli, la struttura svizzera dove la bellissima moglie Ella giace ormai da decenni in una bara trasparente, avvolta in effluvi di nebbia ghiacciata.

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Interregno: Iconografie del XXI secolo di Mattia Salvia

Governi nazionali che si combattono a suon di meme, colpi di Stato in diretta YouTube, diplomazia dello shitposting, estremisti stragisti che trollano su Reddit, bovini a cui vengono applicati visori VR per aumentare la produzione di latte, disastri ambientali che diventano virali su Instagram e TikTok, «covfefe»… L'era in cui viviamo è diventata talmente assurda, grottesca, incomprensibile, da non poter più essere reale: l'unica spiegazione possibile è che siamo entrati in una «timeline sbagliata» – una sorta di linea temporale alternativa a quella «giusta» in cui le cose vanno come devono andare. E invece la timeline sbagliata è proprio la realtà nella quale siamo immersi: nessuna allucinazione, nessun brutto sogno da cui un giorno finalmente ci sveglieremo

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Francesco Boer è uno scrittore, simbologo e ricercatore dei rapporti fra realtà e immaginazione. Ha pubblicato diversi titoli fra saggistica e narrativa, con editori come Il Saggiatore, Piano B e D editore.

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