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La realtà è sopravvalutata. Chiacchierata con Vanni Santoni

Di Francesco D'Isa • ottobre 31, 2017

L'ultimo romanzo di Vanni Santoni, L’impero del sogno, si inserisce con una “continuity” alla Marvel (per citare autore e protagonista) in molti dei suoi precedenti romanzi. A partire dal gruppo di personaggi de Gli interessi in comune, infatti, intreccia i mondi dei due Terra Ignota, come anche di Muro di casse e La stanza profonda. Ma nonostante (e oltre) alla creazione di un “Universo Santoni”, L’impero del sogno è un esperimento nuovo, in cui l’autore annoda, assieme ai personaggi, anche gli interessi, i temi, i riferimenti e i generi a lui cari.
Ne risulta una lettura appassionante e piacevole, ma anche inconfondibile e decisamente originale. Com’è esemplificato dalla bella copertina, il romanzo è così gremito di temi e simboli da ricordare i Bhavachakra dell’arte induista e buddista – delle affollatissime esplosioni di divinità, semidivinità e umani che si intrecciano in gesti, temi e colori, fino a esplodere in marasmi barocchi che sembrano aver poco a che fare con la “liberazione dal mondo del divenire”. Se non fosse che il loro tema è proprio quello: il caotico mondo del divenire ("Samsara").
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L'impero del sogno - Vanni Santoni (Mondadori)
Inizio l’intervista proprio con questa analogia; una lettura superficiale attribuirebbe al tuo romanzo un’ambientazione a metà tra sogno e realtà, con a seguire l’immancabile confusione dei piani che le due sfere portano generalmente con sé. Ma nell’intessere questo delirante e affascinante mandala di avventure e mondi, quel che fai è più radicale. Poni in atto due reami (realtà e non-realtà), per poi collegarle, sconvolgerle e ibridarle con dei “ponti”, quali letteratura, videogiochi, fumetto, mitologia, psichedelia, cinema, giochi di ruolo, sogno lucido e molto altro. Con un libro del genere è difficile non chiederti: qual è la differenza tra realtà e sogno in L’impero del sogno?
Sì, è vero, L’impero del sogno, oltre che un romanzo avventuroso che gioca con i generi, è anche un enorme omaggio a molte cose che mi hanno influenzato – evidentemente Terra Ignota, dove i riferimenti erano per lo più “alti” e letterari, non era bastato. E mi piace molto il paragone che fai con i Bahavachackra, ai quali del resto mi pare rimandi anche la copertina di Vincenzo Bizzarri, che ha ben inquadrato la “poetica del sovraccarico” su cui è costruita parte del libro. È tipico, nella grammatica della visione, il passaggio da una zona di caos sovraccarico pri-ma di arrivare alle (eventuali) rivelazioni, e il caos, il barocco, peraltro, possono aiutare ad abbandonare i principi di ordine e geometria così creare un primo stacco rispetto al reale. L’idea alla base del libro, del resto, è proprio quella di far saltare tutte le gerarchie di realtà. A chi non è capitato, almeno una volta, di fare un sogno che aveva una grana “più vera del vero”? Oppure, pensando appunto ai giochi di ruolo, tutti coloro che li hanno praticati conservano ricordi di determinate sessioni di gioco che appaiono concreti come e più di altri loro ricordi reali. Nel frattempo, anche la fisica è arrivata a mettere in dubbio la concezione generale di realtà, e questo crea un terreno molto fertile per le storie, che peraltro sono proprio il primo e più radicato di tali dispositivi-ponte.
Il libro si divide in due parti che si intrecciano progressivamente; da un lato l’abissale tedio della provincia, radicale al punto da non concedere spazio nemmeno alla tragedia, e dall’altro l’universo variegato e significativo del sogno. È facile leggere la vita onirica di Federico, che pur di sognare si riempie di oppio e psicofarmaci, come “la solita fuga dalla realtà”. Tanto più che nella vita vera il protagonista è uno sfigato, mentre nel sogno, a suo modo, un eroe. Eppure il romanzo suggerisce in qualche modo che questa trita lettura sia errata, mi sbaglio?
Di questa contrapposizione, che ha origini antiche, mi colpì molto la versione che diede Neil Gaiman, in una delle storyline interne a Sandman, quella intitolata A game of you. Lì c’era una ragazza di New York reduce da un divorzio, che alla sua banalotta e insoddisfacente vita reale contrapponeva un’attività onirica vividissima, nella quale era la principessa di un mondo fantasy un po’ kitsch, tra Oz e la Fantàsia della Storia infinita. Sicuramente quella storia è stata tra le maggiori influenze per l’idea iniziale di questo romanzo. Detto ciò, e premesso che il concetto stesso di “fuga dalla realtà” mi è inviso dato che nasconde un pesante carico di moralismo, il tema della contrapposizione “di valore” tra mondo reale e mondi altri è un tema su cui lavoro da tempo: era centrale ne La stanza profonda, in cui si rivendicava un principio di realtà per i mondi immaginati nei giochi di ruolo, e lo si ritrova anche in Muro di casse e Gli interessi in comune, dove chi vive esperienze iniziatiche attraverso gli psichedelici (o attraverso forme rituali postmoderne) deve confrontarsi, quando non con uno stigma moralistico, con una percezione sminuente di quelle esperienze da parte della società. Viviamo in un mondo che ha bandito il sogno, il delirio, la visione a questioni marginali, ma che oggi, in virtù dell’avvento di una diffusa virtualizzazione, è costretto a mettere in dubbio nuovamente la propria idea di cosa è “reale”. E poi ovviamente ci sono le storie: sono “inventate” eppure costituiscono il sistema nervoso della nostra cultura.
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La Ruota dell'esistenza ("Bhavachakra")
Il mondo del sogno ricorda spesso quello di un videogioco, tanto che quando Federico smette di sognare “si disconnette” come in un MMORPG tipo World of Wacraft. Inoltre, come con un videogioco, il protagonista cerca di ridurre al minimo la vita reale per poter giocare ancora e ancora. In effetti ha anche uno stile molto cinematografico, ne verrebbe fuori un bel film. Nella stesura te lo sei giocato/filmato mentalmente?
Ho pensato ai videogiochi. Ai MMORPG come dici tu, ma anche a quelli dell’epoca in cui è ambientato il romanzo [gli anni ’90 N.d.R.], sia quelli a cui giocavamo a casa sul PC – un momento difficile, ad esempio, viene sbrogliato dal protagonista utilizzando qualcosa che viene da Fallout – sia quelli che andavamo a cercare al bar e in sala giochi, su tutti i picchiaduro a scorrimento. Questo avviene sia a livello di omaggi – a un certo punto, nel libro, il Mella e Livia rubano al Museo Stibbert di Firenze delle katane Muramasa; ricorderai che c’erano anche in Final fight, e ho sempre trovato divertente il fatto che dentro a un bidone dei rifiuti del Bronx si potesse trovare una spada giapponese del ‘500 – sia a livello strutturale, infatti i nemici arrivano uno alla volta contro gli eroi, proprio come in un picchiaduro a scorrimento. Ma c’è di più: è una cosa che ho capito leggendo il magistrale Guida ai super robot di Jacopo Nacci, in cui l’autore rifletteva sul perché – chi non se lo è mai chiesto, da bambini – i mostri nemici di Mazinga, Daitarn e compagni vengano inviati sempre uno per volta invece di venire scagliati tutti assieme per una facile vittoria. Alla risposta più ovvia – ci sono da fare venti puntate – Nacci ne aggiunge una più ardita e molto più interessante: la possibilità che l’eroe degli anime superrobotici stia vivendo un confronto tutto interiore, che i mostri arrivino dall’abisso che reca dentro di sé. Una spiegazione che si confà alla perfezione anche all’Impero del sogno.
Il testo è pieno di rimandi e citazioni a romanzi, saggi, testi filosofici, video-giochi, fumetti e anime. In un certo senso può anche essere letto come una bibliografia vivente, quindi una domanda sulle fonti è ridondante. Mancano però tre libri, che secondo me ibridi felicemente nella struttura del libro: American Gods di Neil Gaiman, La storia infinita di Michael Ende e Lanark di Alasdair Gray. Anche loro sono stati dei punti di riferimento? Non dire di no che Lanark me lo hai consigliato tu :)
American Gods è sicuramente un libro con delle affinità rispetto all’Impero del sogno – c’è già chi ha parlato dell’“American Gods italiano” – ma la verità è che il debito con Gaiman è ancora più grosso, e antecedente. L’idea degli dèi con pochi seguaci che diventano entità malmesse e si aggirano nel mondo degli umani è sua, infatti, ma l’ha concepita già in Sandman, dove si trovavano, fra gli altri, una Bastet spelacchiata e una Ishtar ridotta a fare la ballerina in un night; in American Gods l’ha solo portata alle estreme conseguenze. La storia infinita, poi, è un riferimento così chiaro che ho preferito non ribadirlo con la citazione diretta per non sembrare pedante (del resto c’era una sua citazione pure nella Stanza profonda). È curioso perché pur amando il fantasy non è mai stato uno dei miei libri preferiti, ma oggi mi trovo a prendere atto del fatto che ha avuto un’influenza profonda se la cito non solo nei fantasy come L’impero del sogno o Terra ignota ma anche nei miei romanzi “realistici”.
Lanark invece no, perché l’ho letto dopo aver scritto la prima bozza dell’Impero! Anche se ora, di fatto, scopro che ne è un padre nobile: probabilmente ciò si deve al fatto che ha avuto grandi influenze su innumerevoli opere letterarie, cinematografiche e fumettistiche anglosassoni, e quindi io ho ricevuto una influenza di secondo grado.
Torniamo all’Universo Santoni. Ne Gli interessi in comune il Mella dice che “La vita è sopravvalutata”. Ne La stanza profonda va oltre e dice che “La realtà è sopravvalutata”. Evoluzione o involuzione?
Ti ringrazio per aver beccato il riferimento! Penso che dipenda da che tipo di sguardo si ha sul mondo. Ma probabilmente la seconda è una frase più positiva e meno nichilista della prima. Forse anche lui è cambiato, anche se ha continuato a “vivere” solo nel 1997…
Vanni Santoni (1978), dopo l'esordio con Personaggi precari (RGB 2007, poi Voland 2013), ha pubblicato, tra gli altri, Gli interessi in comune (Feltrinelli 2008), Se fossi fuoco arderei Firenze (Laterza 2011), Terra ignota e Terra ignota 2 (Mondadori 2013 e 2014), Muro di casse (Laterza 2015), La stanza profonda (Laterza 2017, dozzina Premio Strega). È fondatore del progetto SIC – Scrittura Industriale Collettiva (In territorio nemico, minimum fax 2013). Dal 2013 dirige la narrativa di Tunué. Il suo ultimo romanzo è L’impero del sogno (Mondadori).
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