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La rivoluzione di Carla Lonzi

Di Giulia Scialpi • settembre 04, 2023

Negli scombussolati anni che seguono il Sessantotto, con le sue rivendicazioni giovanili e soprattutto con quelle provenienti dalle giovani donne, la figura di Carla Lonzi offre allo scenario italiano una prima e limpida esposizione delle idee che in quel momento sommuovono e alimentano un femminismo che non è più basato sulla rivendicazione di uguaglianza, bensì su una complessificazione di questo concetto: è il cosiddetto «neofemminismo», il femminismo della differenza.

Eppure gli scritti femministi di Lonzi non ambivano ad alcuna fissazione teorica né concettuale: di fatto, questi non erano che il risultato di consapevolezze personali e politiche di cui l’autrice stessa non si era avvertita prima del suo incontro, nella primavera del 1970, con le intellettuali insieme alle quali, di lì a qualche mese, sarebbe iniziata l’esperienza del gruppo di Rivolta femminile.

Il rischio di questi scritti è che vengano presi come punti fermi teorici mentre riflettono solo un modo iniziale per me di uscire allo scoperto, quello in cui prevaleva lo sdegno per essermi accorta che la cultura maschile in ogni suo aspetto aveva teorizzato l’inferiorità della donna.

[Premessa a 'Sputiamo su Hegel', 1974]

La storia di Carla Lonzi femminista comincia proprio all’inizio degli anni Settanta, innanzitutto per mezzo di un ripensamento della propria posizione di donna all’interno del contesto artistico in cui ha vissuto e operato fino a quel momento. Laureatasi nel 1956 all’Università di Firenze con una tesi in Storia dell’Arte molto apprezzata da Roberto Longhi, Lonzi inizia la sua carriera come critica d’arte, che dà uno dei suoi migliori frutti in Autoritratto (1969), libro che raccoglie le sue conversazioni con alcuni dei più importanti artisti operativi in quel tempo in Italia. Fra loro, c’è anche la pittrice Carla Accardi, che proviene artisticamente da un gruppo di ispirazione formalista e marxista, il Gruppo Forma 1, e grazie alla cui vicinanza e amicizia, si apre per Lonzi una nuova via di coscienza femminista, che intacca e cambia per sempre la sua visione dell’arte e della critica d’arte. Quest’ultima, infatti, le si rivela finalmente come un’istituzione emanata dalla cultura patriarcale, che mira a sistematizzare la creatività e che, nel farlo, è necessariamente viziata da una tendenza all’omologazione sul modello maschile anche nel confronto con soggettività artistiche femminili; «La critica è potere» sarà infatti il titolo del suo ultimo e definitivo saggio sull’arte, pubblicato nel dicembre del 1970.

La cesura ideologica ed esistenziale è avvenuta per Lonzi proprio fra la primavera e l’inverno di quell’anno: l’abbandono della critica d’arte non è stato che il primo sintomo di una globale presa di distanza da un orizzonte culturale – dunque sociale e politico – che non contempla l’esistenza autonoma della donna al di fuori dei modelli fondativi del pensiero occidentale.

Abbiamo guardato per 4000 anni: adesso abbiamo visto!

[Manifesto di Rivolta Femminile]

Nell’estate del 1970, insieme a Carla Accardi ed Elvira Banotti, Lonzi firma il Manifesto di Rivolta Femminile, che declina i maggiori caposaldi del gruppo, come la rivendicazione dell’autonomia della donna e il separatismo femminile e che contesta l’autoritarismo maschile per mezzo di assunti che introducono la discussione intorno a temi quali l’istituzione del matrimonio, la maternità, l’aborto, il mito della castità e della verginità, ma anche il lavoro domestico non retribuito, la parità salariale.

La civiltà ci ha definite inferiori, la Chiesa ci ha chiamate sesso, la psicanalisi ci ha tradite, il marxismo ci ha vendute alla rivoluzione ipotetica.

[Manifesto di Rivolta Femminile]

Il manifesto, inoltre, anticipa alcune questioni che saranno al centro dello scritto più famoso di Lonzi, ovvero Sputiamo su Hegel (1970), che svela le radici millenarie dell’oppressione femminile, risalendo specialmente alle teorie dei padri fondatori della modernità, ovvero Hegel, Marx e Freud. Il primo, infatti, ha razionalizzato il potere patriarcale nella dialettica servo-padrone; mentre sia il marxismo sia la psicanalisi hanno messo a lato la specificità dell’esperienza femminile, inglobandola ora nella struttura della lotta di classe, ora nella storia unica dello sviluppo psico-sessuale del soggetto maschile.

La donna non è in rapporto dialettico col mondo maschile. Le esigenze che essa viene chiarendo non implicano un’antitesi, ma un muoversi su un altro piano.

[Sputiamo su Hegel]

Il marxismo, in particolare, persuadendo la donna dell’oppressione operata anche su di lei dal sistema capitalistico, l’ha condotta a dimenticare la sua condizione specifica di oppressione, generata dalla cultura patriarcale – di cui la psicanalisi freudiana è massima espressione. All’interno della teoria freudiana, infatti, la sessualità della donna non ha una propria autonomia, ma viene impiegata soprattutto per rinforzare la supremazia del fallo nell’economia sessuale e sociale. In questo modo, nel pensiero moderno la donna in quanto soggetto è stata travolta da un’urgenza omologante, che non ha lasciato spazio alla sua differenza, che non è più quella empirica che si esprime nella divisione tradizionale dei ruoli sociali, bensì una differenza di pensiero, di bisogni, di posizionamento esistenziale. Questa consapevolezza deve ora costituire il punto d’insorgenza del «Soggetto Imprevisto», ovvero di una donna che si presenti ogni volta come soggetto ex novo, non corrispondente a nessun modello e a nessuna rappresentazione preesistenti, precostituiti per lei dall’orizzonte patriarcale. Imprevista sarà, ad esempio, proprio quella «donna clitoridea» di cui Lonzi si occupa nel suo secondo saggio femminista più celebre, ovvero La donna clitoridea e la donna vaginale (1971): qui Lonzi riprende un tema fondamentale del dibattito femminista di quegli anni, ovvero la critica al piacere femminile “ufficiale” stabilito dalla dominazione dell’uomo (v. Anne Koedt, Il mito dell’orgasmo vaginale), e sdogana una sessualità che trova il suo centro in un organo diverso da quello adibito alla procreazione e che, per questo, libera la donna dal mito della sua necessaria complementarità con l’uomo.

Le idee esposte in Sputiamo su Hegel, e poi negli altri scritti che compaiono gradualmente fino all’edizione del 1974 (Rivolta femminile, Milano) che li include tutti, mettono in rilievo l’imprescindibile direttrice filosofica del gruppo di Rivolta e conferiscono un’impronta assolutamente riconoscibile al femminismo italiano. Inoltre, tale indirizzo, che si sta sviluppando contestualmente anche in Francia, in seno al gruppo Psychanalyse et Politique, e con frequenti contatti fra i due paesi, apre una via di riflessione che continuerà a dare i suoi frutti in Italia anche nel corso degli anni Ottanta, specialmente attraverso la comunità filosofica Diotima (Femminismo fuori sesto), nata nel 1976 presso l’Università di Verona.

Non solo per questo la presenza di Lonzi è essenziale nello sviluppo del femminismo italiano: il gruppo di Rivolta femminile e la riflessione stessa di Lonzi sono i luoghi in cui si compie fattivamente il passaggio dalla presa di coscienza all’autocoscienza, intesa non solo come pratica ispirata dalle femministe statunitensi, ma anche come mezzo espressivo prediletto di una donna che fa dell’attraversamento di se stessa la fonte più inesauribile di un pensiero critico sempre in grado di travalicare la dimensione personale. Ci riferiamo qui alla scrittura intima, o meglio alla «scrittura autocoscienziale», di Lonzi: specialmente ai due volumi che compongono Taci, anzi parla. Diario di una femminista (1978), che registra il risveglio ideologico di Lonzi negli anni fra il 1972 e il 1977, ma anche al libro Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra (1980), che riporta il confronto fra Lonzi e suo marito in un momento di crisi coniugale, poi superata.

Mi sono manifestata nel femminismo per l’improvvisa intuizione che il niente misconosciuto in cui mi ero rifugiata prima si rivelava adesso come il nuovo campo di soggettività della donna. Ma il riconoscimento, da cui nasce il soggetto, intanto che esprime un altro soggetto in grado di essere riconosciuto a sua volta, è stata l’operazione che ha portato il mio processo al traguardo dell’autocoscienza.

[Taci, anzi parla]

La pubblicazione di questi volumi, voluta da Lonzi, manifesta il carattere totale ed esistenziale del suo femminismo. Scrivere significa per Lonzi provare la propria esistenza a se stessa: allo stesso modo, farsi leggere significa esprimere la necessità dello sguardo dell’altra e di quel reciproco riconoscimento da cui soltanto può muovere la coscienza del proprio posto e della propria identità nel mondo.

A questo riconoscimento ci sembra di prepararci anche adesso, nel breve tempo che ormai ci separa dalla ripubblicazione degli scritti di Carla Lonzi presso la casa editrice milanese La Tartaruga, dopo un’assenza quasi trentennale di questi testi dagli scaffali delle librerie – un tempo lungo, in cui l’opera di Lonzi, proprio a fronte della sua difficile reperibilità, è stata per lo più letta da specialisti e accademici, soprattutto dopo il grande saggio a lei dedicato da Maria Luisa Boccia all’inizio degli anni Novanta, L’io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi (1991).

Riportare oggi questi scritti al grande pubblico è un evento editoriale, ma anche politico, poiché le parole di Carla Lonzi mantengono intatto l’invito a un femminismo aperto, che non si barrica dietro a etichette né modelli, ma che indica strade sempre alternative rispetto a quelle dominanti. Così, la forza di questi testi non tarderà a risvegliare nei suoi lettori, e specialmente nelle sue lettrici, la passione per un pensiero a-tipico, ma anche la forza di quel riconoscimento che Lonzi descriveva nel suo diario: la percezione di una figura che si distacca dal fondo per dirsi uguale a noi, o uguale a ciò che non sapevamo d’essere, né di sapere: esiste un’altra donna, imprevista, dietro alla sola che credevamo di conoscere, e ora chiede che le venga fatto spazio, che uno spazio diverso si apra intorno a lei.

Sputiamo su Hegel e altri scritti di Carla Lonzi

È impossibile immaginare la storia del femminismo senza Carla Lonzi: grazie alla sua visione e al suo pensiero, è riuscita a cambiare il linguaggio con cui le donne parlano di loro stesse, della loro sessualità e dei loro desideri.

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Giulia Scialpi, già allieva della Scuola Normale Superiore di Pisa, è ora dottoranda di ricerca in Italianistica presso l'Université Paris Nanterre. Vive e lavora a Parigi.

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