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Le fiabe sono vere

Di Giorgio Biferali • maggio 23, 2025Pensieri

Immagine di copertina

C’era una volta la nostra infanzia. C’eravamo noi, con il mondo intorno che piano piano prendeva forma, colore, musica, che si popolava di sagome, di comparse, di personaggi, e a noi, in fondo, non importava poi tanto se esistessero davvero oppure no. E per molti di noi quella confusione tra realtà e finzione c’è ancora, l’idea che le storie non nascano nel momento in cui accadono, ma quando qualcuno comincia a raccontarle, ecco, ce la portiamo dentro e la proteggiamo anche adesso che qualcuno si permette di chiamarci adulti.

In una delle tante mattine stanche, ordinarie, prive di sussulti e di colpi di scena, in cui ci chiediamo se la scuola sia stata sempre così e non capiamo come abbiano fatto gli altri, prima di noi, ad arrivare fino all’ultimo giorno, sentiamo qualcuno che parla di fiabe. Chi sono i personaggi delle fiabe? Che cos’è una fiaba?, ci chiede, forse, oppure è una domanda retorica, nessuno lo saprà mai. Comunque la fiaba è un breve racconto in cui agiscono streghe, maghi, orchi, e sono presenti oggetti magici come anelli, specchi e così via. La fiaba è ripetitiva, è fatta di formule, è generica, eh, tipo “tanto tempo fa in un luogo molto lontano”, i personaggi sono chiusi in delle tipologie, che so, la strega cattiva, la fata buona, e il protagonista, l’eroe, deve superare tantissime prove, per arrivare alla fine della storia, al lieto fine, diciamo, al “vissero tutti felici e contenti”. Noi, in fondo, tutte queste cose, le sapevamo già, senza saperlo, era tutto dentro di noi, l’avevamo capito.

Io non ricordo se i miei mi leggevano delle fiabe per farmi addormentare o se queste immagini, così calde e rassicuranti, le ho viste solo nei film, nei racconti dei miei amici, nelle sere in cui ho avuto io il ruolo del lettore, quando sono diventato l’audiolibro più ascoltato da mia figlia, e sto confondendo di nuovo le cose. So che le fiabe, in qualche modo, mi hanno preparato al mondo, l’hanno reso più abitabile. Ha ragione Gianni Rodari che, ne La grammatica della fantasia, ha scritto che nelle fiabe il vero protagonista, più che l’eroe, è il bambino che le sta ascoltando, che impara a contemplare, a combattere le proprie paure. E spesso, oltre alla storia, farsi leggere una fiaba è solo una scusa per rimandare il momento in cui si spegnerà la luce, per passare ancora un po’ di tempo insieme con l’adulto che sta raccontando.

Penso a Giorgio Manganelli, che quand’era bambino, la prima volta che ha letto Pinocchio, batteva i pugni per terra perché non ci poteva proprio credere che quel burattino, alla fine, fosse diventato un ragazzino per bene. Un rito infantile, come diceva lui, destinato a segnare per sempre il resto della nostra vita. È lì che veniva fuori tutta quella serie di domande, fondamentale per mettere a fuoco il mondo, per indovinare il futuro, per cercare di capire come muoversi, come evitare di farsi del male. Ma quindi che succede dopo mezzanotte? Come si mangiano gli spaghetti? È possibile avere in casa una libreria che arriva fino in cielo? Perché i soldi piacciono così tanto? Come si fa a sopravvivere quando una persona che amiamo se ne va per sempre?

E come mi domando se i miei mi leggevano delle storie, per farmi addormentare, così mi chiedo se mia figlia, mentre io sono lì, accanto a lei, che provo a rispettare le immagini, le voci dei personaggi, la suspence tra una pagina e l’altra, ecco, immagina le stesse cose che immaginavo io alla sua età. È inutile guardare le previsioni del tempo, lassù dipende tutto dall’omino della pioggia, se si addormenta e dimentica di aprire o di chiudere i rubinetti che ci sono sulle nuvole (Gianni Rodari, Fiabe lunghe un sorriso). Perché le nuvole parlano, come gli specchi, i palloni, gli alberi, e non ha senso lamentarsi con loro quando piove, anche perché è il vento che le spinge (Altan, Pimpa che rabbia!). Così come non posso lamentarmi con nessuno, adesso, che ho messo da parte delle monetine, ho riempito il porcellino, che è un salvadanaio, serve proprio per questo, a conservare le monetine nel tempo, e adesso che è pieno, che con quelle monetine potrei comprare un giocattolo nuovo, non ce la faccio a rompere il porcellino, ormai siamo amici io e lui (Etgar Keret, Rompi il porcellino). Sono problemi inutili, direbbe qualcuno, che forse non era poi così pronto per diventare grande. Ogni tanto si torna a parlare di fiabe, direbbe qualcun altro, ma non sa che in realtà non smettiamo mai di parlarne, di pensarci, di affidare a loro le nostre paure, i nostri desideri, la nostra vulnerabilità. Perché? In parte perché la nostra vita somiglia, a tratti, alla morfologia fiabesca immaginata da Propp, può esserci l’allontanamento, il tranello, la mediazione, la partenza, la reazione, il ritorno, il riconoscimento dell’eroe. Ma anche perché, semplicemente, come diceva Calvino, “le fiabe sono vere”.


Scuola di fantasia di Gianni Rodari

Gianni Rodari ci ha sempre insegnato a guardare avanti, a non avere alcuna nostalgia del passato. Non sopportava chi diceva che “una volta i bambini leggevano di più”. Non è vero. E quando? Quando eravamo un paese di analfabeti? Non sopportava chi diceva che “una volta i ragazzi erano più educati”. Storie! Una volta per essere educati dovevano solo stare zitti. Non sopportava chi diceva che “una volta la scuola era più seria”. Non è vero, per decenni la scuola è stata solo dei privilegiati e lasciava fuori tutti gli altri. I ragazzi – ci ricorda Rodari – non possono assolutamente guardare al passato perché non hanno un passato. Invece noi adulti abbiamo il dovere di ricordarcelo questo passato e fare l’impossibile perché non torni.

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Pinocchio: un libro parallelo di Giorgio Manganelli

Questa singolarissima opera è un libro nel libro, insieme parassitario e autonomo, in cui il Manganelli scrittore da un lato illumina "Pinocchio" di una luce nuova e dall’altro dà forma all’ennesimo paesaggio della sua poetica – paesaggio ancora una volta lunare, comico e alieno. Il classico di Collodi diventa così più terrificante ma anche più euforico, più enigmatico ma anche più carico di rivelazioni, più cupo ma anche più ricco di risonanze metaforiche e simboliche. E in particolare il percorso di Pinocchio, personaggio insieme umano, animale, vegetale e ultraterreno, mosso fin dall’inizio da «una vocazione metamorfica e insieme teatrale», da un «occulto, multiforme, futuro».

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Fiabe italiane di Italo Calvino

«Io credo questo: le fiabe sono vere. Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi d'un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano. E in questo sommario disegno, tutto.»

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Giorgio Biferali, scrittore, docente dell’accademia Molly Bloom e insegnante di italiano e storia in un liceo. Collabora con quotidiani e riviste culturali, dove si occupa principalmente di cultura pop. Ha pubblicato, tra gli altri, L'amore a vent'anni, romanzo d'esordio presentato al Premio Strega 2018, A Roma con Nanni Moretti (Bompiani) e Il romanzo dell'anno (La nave di Teseo).



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