Leggere è una forma di salvezza
Se fosse stato per la scuola io, I promessi sposi, li avrei odiati per tutta la vita. Dentro di me, come una sorta di audiolibro immaginario, avrei sentito per sempre la voce bassa e lenta di quella prof. di mezza età che si sedeva, dopo averci salutato timidamente, e ci chiedeva di aprire il libro a quella pagina lì, dove eravamo rimasti, e cominciava a leggere come se fosse una tortura, come se si fosse resa conto che la vita di una persona che lavora a scuola, di un’insegnante che ogni anno ha le stesse classi, fosse simile a quella di Bill Murray in Ricomincio da capo. Sempre gli stessi programmi, gli stessi passaggi da evidenziare, le stesse battute. Poi c’erano I Malavoglia, che ci avevano dato da leggere durante l’estate senza dirci nulla, chiedendoci solo di leggerlo, in vista del ritorno a settembre. C’erano anche il Calvino dei Nostri Antenati, come se la sua opera si riducesse a quei tre romanzi, che ci venivano raccontati anche male, e ovviamente Giacomo Leopardi, con il suo solito manualistico “pessimismo cosmico”, tanto per semplificare le cose, tanto per offrirci un’idea distorta della letteratura, dell’arte, degli esseri umani. Ho avuto professori e professoresse di ogni tipo, chi guardava fuori dalla finestra dicendo che i platani stavano per cadere addosso alla scuola, chi leggeva seduto, dietro alla cattedra, senza alzarsi mai, senza quasi mai guardarci, chi leggeva i temi preoccupandosi solamente della forma, non riuscendo a vedere il contenuto. E se c’era una cosa che tutti questi prof. avevano in comune, era che ci davano da leggere, sempre e comunque, autori morti da un pezzo, come se la storia della letteratura fosse un po’ come il mondo di Truman Burbank e avesse un muro, composto dalle poesie di Quasimodo e di Montale e con “in cima cocci aguzzi di bottiglia”, oltre il quale era impossibile andare.
Sarà che non ho mai pensato di recitare un ruolo preconfezionato, sarà che scrivo e che sono ancora qui, in carne e ossa, ma dal mio nuovo primo giorno di scuola, dall’altra parte della cattedra, ho cercato di trasmettere un’idea diversa della letteratura, che non aveva nulla a che fare con quel grande cimitero di autori immobili nel tempo. La letteratura, io, dentro e fuori dalla scuola, l’ho sempre immaginata come qualcosa di vivo, in continuo divenire, destinata a cambiare nel tempo, proprio come sono destinati a cambiare nel tempo gli esseri umani. E allora, durante l’estate, durante l’anno, ho pensato di uscire dai programmi e dai dettami del Ministero, per affacciarmi, insieme ai miei studenti, sul presente, e ascoltare le voci che oggi cercano, in diversi modi, di raccontarlo, di decifrarlo, anche alla luce di quello che è accaduto nel passato.
Ho cercato di far mia una lezione che ho imparato diversi anni fa da Emanuele Trevi, dal suo Istruzioni per l’uso del lupo, quando scriveva che dovremmo regalare i Nuovi versi alla Lina di Umberto Saba a un uomo abbandonato o l’Odissea ai fascisti che odiano gli immigrati, perché vedeva nella letteratura, e soprattutto dentro di noi, “la possibilità perenne di un’apertura”, “il miracolo di un inchino reciproco, di uno sfiorarsi di labbra, tra l’anima e il mondo”.
Ho letto in classe, con dei ragazzi che avevano più o meno sedici anni, il romanzo Naif. Super di Erlend Loe. Anche se il protagonista del romanzo ha appena compiuto venticinque anni, capisce di essere in un momento di passaggio e non sa bene cosa fare della sua vita, del suo futuro, e va in crisi. Per cercare di riprendersi, ricomincia dalle piccole cose, guidare la bici, giocare con la palla, scrivere delle lettere, riceverle, rispondere, parlare con un bambino, invitare una ragazza a uscire con lui. E rimanendo sull’importanza delle piccole cose, ho letto alcuni dei Momenti di trascurabile felicità di Francesco Piccolo, e ho chiesto ai ragazzi se riuscissero a trovare i loro momenti, a pescare nella loro memoria limpida e luminosa i piccoli miracoli del quotidiano. Partendo da L’infinito, ho letto con i ragazzi delle prime, delle seconde, delle quinte, un bellissimo testo teatrale di Tiziano Scarpa (L’infinito, appunto), in cui l’autore immagina Leopardi che fa un viaggio nel tempo, dal 1819, l’anno in cui ha scritto il suo capolavoro, e compare nella stanza di un ragazzo che non sa bene come interpretare quella poesia, la notte prima dell’orale della maturità. Ripensando a quello che scriveva Manzoni nel suo celebre romanzo, che “l’annunzio d’una cosa la fa essere”, ho fatto leggere per le vacanze il romanzo Harvey di Emma Cline, un ritratto intimo, delicato, di Harvey Weinstein, poco prima che cominciasse il processo, che i giornali di tutto il mondo sbattessero in prima pagina la sua mostruosità e che il popolo, giudice spietato e intransigente, dimenticasse per sempre il suo lato umano.
Ho fatto leggere e leggo, ancora oggi, i racconti di Etgar Keret (All’improvviso poi bussano alla porta, Pizzeria kamikaze, Un intoppo ai limiti della galassia), perché fa bene cercare di leggere la realtà, di decifrarla, anche attraverso i suoi aspetti meno realistici, e chiedersi cosa succederebbe se incontrassimo una delle nostre bugie, se fingessimo di conoscere qualcuno mentre facciamo colazione, se la ragazza che frequentiamo, di notte, si trasformasse in un omino peloso e tarchiato. In linea con la mania dei librigame, abbiamo letto Risposta multipla di Alejandro Zambra, una storia costruita attraverso una struttura che somiglia a quella dei test attitudinali, in cui sei tu a scegliere come andrà a finire, e questo, alla fine, forse, riuscirà anche a farti capire un po’ meglio chi sei. Anche se, a pensarci bene, tutti i libri dovrebbero farti capire un po’ meglio chi sei.
I libri di cui ho parlato brevemente, da Naif.Super a Risposta multipla, sono scritti da autori che scrivono e che, per fortuna, scriveranno ancora. Non vorrei, però, che qualcuno pensasse che il segreto si trovi qui, che per cambiare le cose basta leggere un libro che è uscito negli ultimi tempi. No, possiamo leggere e far leggere I baffi di Carrère, così come Uno, nessuno e centomila di Pirandello, possiamo leggere Zambra o Queneau, Camus o Erlend Loe. Il segreto, come diceva Trevi, come dice anche Pennac, non è mai quello di cui si parla, ma come se ne parla. Dobbiamo ricordarci che noi siamo passeur, “attivatori della meraviglia”, che la letteratura non è, non sarà mai il mondo di Truman Burbank. Dopo l’uscita in mare, dopo la tempesta, dopo che la nostra barca è arrivata a toccare il muro, dobbiamo riuscire a trovare, ogni giorno, quella piccola porta, per andare oltre, per uscire da noi stessi, per far capire che leggere, in fondo, non è altro che una forma di salvezza.

Istruzioni per l'uso del lupo
Scritta in forma di lettera all’amico Marco Lodoli, la riflessione dell’autore parte dal presupposto che il linguaggio tecnico dell’Accademia e del giornalismo culturale abbia creato una codificazione artificiosa se non mortifera della trasmissione della cultura. Il tecnicismo ha finito per allontanare la letteratura dalla sua sorgente primaria, ovvero dall’uomo e dalle sue emozioni, dal dolore, dalla felicità, dalla paura. Da qui la necessità vitale di creare un linguaggio critico “naturale”, di trovare “le parole giuste per dire la cosa”, di un metodo per avvicinare il lupo, quel temibile, inafferrabile sentimento del bello che assomiglia “alla felicità e alla paura di essere vivi”.
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Momenti di trascurabile felicità
«Entro in un negozio di scarpe, perché ho visto delle scarpe che mi piacciono in vetrina. Le indico alla commessa, dico il mio numero, 46. Lei torna e dice: mi dispiace, non abbiamo il suo numero.
Poi aggiunge sempre: abbiamo il 41.
E mi guarda, in silenzio, perché vuole una risposta.
E io, una volta sola, vorrei dire: e va bene, mi dia il 41».
Giorgio Biferali, scrittore, docente dell’accademia Molly Bloom e insegnante di italiano e storia in un liceo. Collabora con quotidiani e riviste culturali, dove si occupa principalmente di cultura pop. Ha pubblicato, tra gli altri, L'amore a vent'anni, romanzo d'esordio presentato al Premio Strega 2018, A Roma con Nanni Moretti (Bompiani) e Il romanzo dell'anno (La nave di Teseo).