Prima di iscriverti a Yoga, leggi questi libri
Scegliere un corso di yoga non è facile, se si considera la grande quantità di scuole e la varietà all’interno di ognuna di esse. Il risultato è che spesso chi sceglie lo fa in base a criteri piuttosto prosaici, come il prezzo, la distanza e la simpatia di chi insegna – per me almeno è stato così, e mi è andata pure bene. Senza dubbio lo yoga è una pratica che si sviluppa solo attraverso l’esercizio, ma non si dovrebbe ignorare la vastissima letteratura in merito, che oltre a offrire il giusto contesto aiuta a correggere eventuali sbandate. Nel suo Lo Yoga e l’Occidente, Carl Gustav Jung ammoniva: «Dico a quanti più posso: “Studiate lo yoga; vi imparerete un’infinità di cose, ma non lo praticate, perché noi europei non siamo fatti in modo da poter usare senz’altro quei metodi come si conviene. Un guru indiano vi può spiegare tutto e voi potete imitare tutto. Ma sapete chi pratica lo yoga? In altre parole, sapete chi siete e come siete fatti?».
Il tempo sembra aver ribaltato il suggerimento, perché a guardare i tanti centri yoga che sorgono ovunque sembra che siano più le persone che lo praticano di quelle che lo studiano, sebbene anche il numero di queste ultime sia aumentato negli anni. Un’analisi più approfondita però darebbe ragione al celebre psicologo, perché l’aspetto atletico dello yoga, pur salutare di per sé, non è che una piccola parte di questo metodo – ‘metodo’ che è poi la traduzione di ‘yoga’.
Come scrive Federico Squarcini nell’introduzione a uno dei classici che dovrebbe conoscere chiunque si interessi allo yoga, gli Yoga Sūtra di Patañjali, le prime, sporadiche apparizioni di questo termine sono nel Ṛgveda (1200/800 a.C), con il significato di ‘imbrigliamento’. Nei testi successivi però, dove la parola assume più importanza, la traduzione corretta diventa ‘mezzo’, ‘strumento’, ‘disciplina’. In seguito Squarcini rende giustizia alla varietà di cui si diceva sopra, quando scrive:
Il termine yoga, dunque, può essere inteso come indicativo di una ‘funzione’ generica e non di una singola pratica avente aspetti specifici ed esclusivi. Ed è proprio per queste ragioni che, nel prosieguo del tempo, il termine yoga si colorerà di tante accezioni, anche collidenti tra loro. Infatti, a partire dal IV-III secolo a.C., abbiamo testi in cui i rispettivi discorsi sullo yoga paiono palesare un essere ‘plurale’ dello stesso, ma non certo perché un singolo e originario yoga si sia ora pluralizzato, bensí, come è piú logico pensare, poiché plurali e variegati sono gli scopi a cui ambiscono, per il tramite di un procedere metodico (yoga), le tante e differenti tradizioni ascetiche o intellettuali che ne fanno uso.
Se vuoi esplorare l’avventurosa storia di questa disciplina in Occidente, potresti iniziare con i primi studi in merito, come il suggestivo (ma un po’ superato) Yoga dello storico delle religioni Mircea Eliade, o con saggi introduttivi contemporanei, come Nel nome dello yoga. Filosofia, disciplina, stile di vita del sopracitato Federico Squarcini e Luca Mori. Tra i tanti intellettuali citati in questo libro, ne troverai alcuni che è divertente immaginare in complesse asana (posizioni) yoga, come William James, che lo definiva un mezzo per «risvegliare dentro di sé livelli sempre più profondi della volontà e del potere morale e intellettuale».
O Schlegel, Hegel e Humboldt, che hanno dibattuto a lungo su come tradurre ‘yoga’ per una versione latina della Bhagavadgītā a opera dello stesso Schlegel. Tra i termini in lizza segnalo il latino exercitatio e disciplina, il francese dévotion i tedeschi Vertiefung e abstrakte Andacht («andare in profondità, sprofondamento» e «devozione astratta»). Peccato che non abbia vinto quest’ultima e che oggi non si possa seguire un corso di devozione astratta.
Per chi invece volesse avvicinarsi ai classici, oltre alla sopracitata (e bellissima) Bhagavadgītā, che è la parte più filosofica dell’immenso poema epico indiano Mahābhārata (IV sec. a. C), rinnovo l’invito a leggere gli Yoga Sūtra, la breve opera del misterioso filosofo Patañjali, una figura leggendaria di cui è difficile offrire una credibile ricostruzione storica. La definizione di yoga con cui apre Patañjali è: «Ecco ora l’insegnamento del metodo (yoga). Il metodo che volge all’arresto definitivo del vorticoso plesso delle cognizioni». Lo scopo di questa prassi è dunque «approdare alla concordanza, ossia alla condizione in cui [gli effetti delle] vorticosità sono quasi estinti: cosí è la gemma completamente trasparente, [finalmente] capace di prender la tinta di qualsiasi oggetto le sia posto dinnanzi».
La mente che si trasforma in gemma trasparente «… si dà al momento in cui i sensi, discostati dall’aderenza ai propri oggetti , sono come rivolti [solo] verso la forma propria del plesso cognitivo». La mente osserva se stessa. E nel farlo ottiene persino dei poteri magici, come una super forza, lettura della mente, assenza di peso e così via. Ma questi doni non devono distrarre chi pratica, perché «…sono impedimenti rispetto al samādhi» ed «[È solo] per colui che è indifferente persino nei confronti dell’esercizio del discernimento discriminativo – in quanto la conoscenza discriminante ormai [risplende] ovunque – che si dà il samādhi detto ‘nube gravida di contenuti refrigeranti’ (dharmamegha). Sopravvenendo il quale, si ha la ritrazione delle afflizioni e dei risultati degli atti».
Tieni presente però che anche secoli fa l’essenza dello yoga era molto dibattuta, come testimonia l’opera di Abhinavagupta, un filosofo vissuto nell’XI secolo che era molto critico nei confronti della proposta di Patañjali (la sua la trovi in Luce dei Tantra, Adelphi).
Se ti gira la testa per questi complessi nomi indiani ti consiglio La vita di Milarepa, biografia della leggendaria figura del mistico, maestro e yogi Milarepa (circa 1040-1123). Questo testo, che un lettore occidentale potrebbe affiancare alle Confessioni di S.Agostino, ripercorre le tappe della vita del santo tibetano, che all’inizio della sua carriera era assai poco santo, dato che praticava la magia nera. Appassionante come un romanzo e profondo come un trattato, è un libro da leggere, mettere da parte e rileggere dopo qualche anno. Se preferisci qualcosa di molto breve e molto denso invece, La porta senza porta di Mumon offre da una parte la brillante sintesi delle novelle Zen e dall’altra le preziose indicazioni sulla meditazione di un testo sacro dello shivaismo kashmiro, le 112 istruzioni con cui Shiva chiarisce i dubbi della sua amata Devi, ciascuna corrispondente a una diversa via della meditazione.
Qui il legame con lo yoga è meno diretto, ma non me la sentivo di non includere i consigli di una divinità. Divinità che però hanno un linguaggio tutto loro, dunque se vuoi avvicinarti all’aspetto meditativo dello yoga (che per alcune persone è il più importante) con un approccio più occidentale, ti consiglio Il miracolo della presenza mentale del monaco e poeta vietnamita Thich Nhat Hanh. Si tratta di un libro molto chiaro che introduce le basi della meditazione vipassana buddista, a partire dalle tecniche di osservazione del respiro fino a quelle atte a estendere la presenza mentale alle attività della vita quotidiana, come lavare i piatti o ascoltare musica – noterai che Thich Nhat Hanh ama in particolare lavare i piatti.
Trasformare la propria vita in una lunga meditazione d’altra parte è il sogno – o l’incubo – di Franny nella breve novella di Salinger Franny e Zoey, anche se la protagonista per farlo sceglie una tecnica del cristianesimo ortodosso, la preghiera del cuore così come la consiglia un anonimo pellegrino russo di fine ottocento (Racconti di un pellegrino russo). Se preferisci affidarti solo all’occidente invece, prova con Il silenzio è cosa viva di Chandra Candiani, che parla di meditazione attraverso la poesia. O con l’opera del filosofo inglese Alan Watts, che con il suo La via dello Zen ha facilitato enormemente la conoscenza di questa disciplina nel mondo Occidentale.
In una rassegna sullo yoga non è possibile ignorare i chakra, il sistema di sette diagrammi mistici che offre preziose simbologie utili a integrare e potenziare alcune tecniche meditative. Situati in vari punti del corpo (plesso sacrale, ombelico, diaframma, cuore, gola, tra le sopracciglia e sopra la testa) i chakra simboleggiano le tappe del processo meditativo e aiutano lo yogi o la yogini a percorrerle, sia nel corpo che nella mente. Oltre a un’indubbia utilità pratica, perché consentono di concentrare l’attenzione su diversi tipi di respirazione e punti chiave del proprio corpo, hanno un’immensa forza suggestiva, cui in genere a Occidente si reagisce in due modi: considerandoli una baracconata o rivestendoli di poteri magici. A mio parere entrambi gli approcci ne sminuiscono l’utilità e se vuoi leggere qualcosa per iniziare a capirli puoi rifarti a testi come Il libro dei chakra, di Anodea Judith, o Chi sono io?, di Diego Manzi.
Finora ho parlato dell’aspetto storico, meditativo, mistico e filosofico del metodo, ma che dire delle asana? Per imparle l’unica cosa da fare è un buon corso di yoga, ma segnalo quello che forse è il primo manuale mai scritto, l’Hatha Yoga Pradipika di Svātmārāma, XV sec., dove «le asana sono descritte per prime. Possono essere praticate per guadagnare una postura eretta, salute e leggerezza del corpo».
È difficile concludere questo articolo, perché ogni volta che mi appresto a chiudere mi viene in mente qualche opera imprescindibile che non ho citato – come non parlare di Nagarjuna? O di Vasubandhu? Sono due tra i migliori filosofi mai esistiti, ma ancora poco studiati in Occidente. Ma non voglio eccedere con le divagazioni. Inoltre, come ho detto in apertura, lo yoga e la meditazione sono una questione di pratica e i libri servono come incentivo, indicazione e correttivo. Non seguire il mio esempio dunque, che leggo più di quanto pratico – e che con le asana faccio abbastanza schifo. Anzi, per dare il buon esempio smetto di scrivere e vado a meditare.
La via dello zen
Non è la prima volta che l'Occidente guarda all'Oriente con la speranza di riceverne lumi: negli anni attorno al primo conflitto mondiale, per parlare solo del '900, il buddhismo fu oggetto dell'ingenua curiosità di molti, e dilagò nella cultura spicciola con l'impeto di una nuova fede. In ogni parte d'Europa e d'America sorsero, per lo studio del pensiero e delle religioni indo-cinesi, società che particolarmente da noi, privi com'eravamo in Italia di una solida tradizione orientalistica, si ridussero a svolgere un'opera di divulgazione spesso mistificatrice. All'origine di quella moda c'erano parecchie cause, tra cui la volontà di unificare il mondo, l'ansia di evasione e, per alcuni almeno, la tendenza a combattere il cattolicesimo con altre forme di spiritualità, diverse, ‟ma non tanto”, da quella cristiana.
Visualizza eBookPsicologia del Kundalini Yoga. Seminario tenuto nel 1932
Dal 3 all’8 ottobre 1932 l’indologo Wilhelm Hauer tenne al Club psicologico di Zurigo un ciclo di sei conferenze dal titolo Lo yoga, e in particolare il significato dei cakra. Nelle settimane successive Jung dedicò quattro conferenze all’interpretazione psicologica dello yoga Kundalini. Per Jung l’incontro fra la psicologia occidentale e il pensiero orientale è la base della possibilità di fondare una psicologia degna di questo nome.
Visualizza eBookNel nome dello yoga
Che cos’è lo yoga? Da questa domanda apparentemente semplice inizia un viaggio a ritroso nel tempo, alla scoperta delle tante e non sempre conciliabili risposte date da autori celebri, maestri, asceti, studiosi, istituzioni e dalle diverse tradizioni. Se nel Medioevo era un vero e proprio «metodo» diviso in più fasi, durante il dominio britannico dell’India era una forma di vita da guardare con sospetto, mentre dalla fine dell’Ottocento divenne una disciplina che prometteva di rendere gli uomini (e, dopo qualche tempo, anche le donne) dei «supereroi» del benessere.
Visualizza eBookYoga
La vita che Emmanuel Carrère racconta, questa volta, è proprio la sua: trascorsa, in gran parte, a combattere contro quella che gli antichi chiamavano melanconia. C’è stato un momento in cui lo scrittore credeva di aver sconfitto i suoi demoni, di aver raggiunto «uno stato di meraviglia e serenità»; allora ha deciso di buttare giù un libretto «arguto e accattivante» sulle discipline che pratica da anni: lo yoga, la meditazione, il tai chi. Solo che quei demoni erano ancora in agguato, e quando meno se l’aspettava gli sono piombati addosso: e non sono bastati i farmaci, ci sono volute quattordici sedute di elettroshock per farlo uscire da quello che era stato diagnosticato come «disturbo bipolare di tipo II».
Visualizza eBookFrancesco D’Isa (Firenze, 1980), di formazione filosofo e artista visivo, dopo l’esordio con I.(Nottetempo, 2011), ha pubblicato romanzi come Anna (effequ 2014), Ultimo piano (Imprimatur 2015), La Stanza di Therese (Tunué, 2017) e saggi per Hoepli e Newton Compton. Direttore editoriale dell’Indiscreto, scrive e disegna per varie riviste.