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Scrivere il destino. Conversazione con Michael Bible

Di Claudio Kulesko • giugno 12, 2025

Immagine di copertina

Con 'Goodbye Hotel', edito nel 2025 da Adelphi nella collana Fabula, Michael Bible prosegue il cammino letterario cominciato con 'L’ultima cosa bella sulla faccia della terra' (The Ancient Hours), 'The Empire of Light' e 'Sophia'. Facciamo ritorno alla cittadina fittizia di Harmony, nel Sud degli Stati Uniti, per seguire François ed Eleanor, due giovani i cui destini si mescolano a quelli di un misterioso uomo in completo di seersucker e di tartaruga di terra gigante dotata di facoltà profetiche, chiamata Lazarus. Intrecciando epoche differenti e molteplici prospettive, Bible torna ad affrontare i temi del fato, dell’isolamento e della ricerca di significato, sempre al confine tra verità e immaginazione. Un’acuta meditazione sull’esistenza umana e sulla redenzione.

Goodbye Hotel di Michael Bible

C’è un posto, a New York, che chiamano Goodbye Hotel, perché è l’ultimo rifugio di chi, per ragioni diverse, si è allontanato dal mondo e nel mondo non vuole (o non può) più tornare. Lì, mentre una nevicata «ipnotica» cade sulla città, François siede davanti al fuoco, stappa una bottiglia di vino da quattro soldi e inizia a scrivere la sua storia...

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[Claudio Kulesko] Goodbye Hotel si apre con un incipit magistrale, che vede una coppia di adolescenti sprofondare in un grande, vasto ignoto, tanto esistenziale quanto narrativo. Nelle tue opere l’adolescenza sembra rivestire un ruolo privilegiato. Si tratta della stagione della vita in cui l’essere umano è più fragile e vulnerabile, ma anche più sensibile e ricettivo alle possibilità (o alla loro mancanza), ed è da qui che si dipana il filo di Arianna dei tuoi romanzi.  Senti di aver avuto – o di avere – un rapporto particolare con la tua adolescenza o l’adolescenza in generale?

[Michael Bible] Durante la mia giovinezza l’esperienza era contraddistinta da una qualità che non sono più riuscito a replicare, se non attraverso la scrittura. Provavo una strana e profonda brama, non soltanto di diventare più grande e lasciare la mia piccola città, ma di una dimensione che sfuggiva completamente alla mia comprensione. Una quiete inspiegabile e assoluta.

[Claudio Kulesko] Mi sembra di intravedere nelle tue opere una sorta di “miniatura” del cosiddetto “Grande Romanzo Americano” – Cormac McCarthy, nello specifico. Non tanto per l’impostazione corale, quanto per la forte componente impersonale, destinale e atemporale. Le tue storie partono sempre da situazioni particolari, ben precise, per poi elevarsi in direzione del mito. 

[Michael Bible] Forse c’è del vero in questa idea, ma sarei l’ultimo a saperlo. Sono un ammiratore occasionale dell’opera di McCarthy, ma non ho mai sentito di intrattenere un dialogo diretto con alcun autore specifico, né mi sentirei a mio agio a inserirmi in qualche tradizione letteraria americana. Il mio interesse non è mai verso la “letteratura” in quanto tale: quando scrivo, penso esclusivamente a mantenermi fedele ai desideri e ai patimenti dei miei personaggi.

[Claudio Kulesko] In una recente intervista con James Jacob Hatfield di “Gemini Session” hai accennato alla tua avversione nei confronti del narcisismo in letteratura e, più in generale, del narcisismo patologico che ha investito gli Stati Uniti (l’intero Occidente, direi) negli ultimi decenni. Per me è un punto particolarmente importante e ho apprezzato moltissimo che tu ne abbia parlato. Raccontare se stessi rappresenta, oggi, la forma standardizzata delle relazioni parasociali mediate dalla tecnologia. Assumere questo stesso atteggiamento nella scrittura significa, dal mio punto di vista, tradire la funzione stessa della letteratura.

[Michael Bible] Purtroppo, come molte altre cose oggi, anche la scrittura è diventata per alcuni (parlo esclusivamente della situazione americana) un’attività mirata alla ricerca di conferme. Il mio maestro Barry Hannah diceva che, sebbene l’adorazione pubblica sia gradevole, la vera motivazione dello scrivere dev’essere di origine non pubblica. Diceva che l’estasi sta nel viaggio che si compie attraverso l’immaginazione interiore, e nella necessità di tendere l’orecchio all'orchestra della vita. Non ho molto interesse nel narrare la mia vita personale. Mi interessa molto di più la vita dei miei personaggi che la mia.

[Claudio Kulesko] Mi ha molto colpito il modo in cui la tecnologia sembra recedere in secondo piano nei tuoi romanzi. C’è, ma potrebbe anche non esserci. Ciò rende tutto, per certi versi, onirico, contribuendo ad amplificare la sensazione di essere entrati in una dimensione fuori dal tempo.

[Michael Bible] Non sono sicuro che ciò sia del tutto intenzionale. Semplicemente, non ho mai avuto una particolare attitudine verso la tecnologia né il desiderio di trascorrere troppo tempo online. Come tutti, possiedo uno smartphone ma lo trovo profondamente bizzarro e alienante. Utilizzo i social media se devo promuovere un libro o un film che ho scritto, ma non vivo online e la tecnologia non ha una grande presenza nella mia vita. Scrivo su un vecchio laptop acquistato usato per 150 dollari circa sette anni fa. Anche il mio telefono, probabilmente, ha la stessa età e funziona a malapena. Non mi verrebbe mai in mente di scrivere a proposito della tecnologia. È semplicemente poco presente nella mia vita.

[Claudio Kulesko] Hai più volte citato Samuel Beckett tra le tue influenze, in particolar modo per via del concetto di assurdo. Nei tuoi romanzi, però, mi è parso di cogliere una versione più tangibile, meno sterile, di questo stesso assurdo: un non-senso che si palesa, tempo stesso, come assenza di senso e proliferazione di senso. Da questo punto di vista la coralità mi sembra un modo per raccogliere – senza cessare di disperdere – tale senso. 

[Michael Bible] Quando scrivo, sono un guerriero felice. Per me il processo è simile a scalare una montagna: non sempre divertente in ogni passaggio, ma sempre profondamente gioioso alla fine.

[Claudio Kulesko] La cura stilistica che profondi nei tuoi scritti sembra riflettere una grande sensibilità individuale. Un eccesso in qualunque altra direzione – con un lessico più ricercato, più artificioso, o periodi più brevi e lapidari – avrebbe diminuito il senso di urgenza che trapela dalle tue storie. La profondità essenziale di ogni capitolo, di ogni paragrafo, è quanto di più autentico mi sia capitato di leggere. Nell’intervista a Hatfield dici di scrivere in una sorta di stato di trance. Una condizione che molti altri scrittori hanno esperito, raccontato e preso in esame.  Ti sei mai interrogato sulla sorgente di questo stato mentale?

[Michael Bible] Grazie. Non ho riflettuto molto su quale sia l'origine di questo stato e forse mi spaventa anche un po’ cercare di comprenderlo. Probabilmente proviene dallo stesso luogo da cui nascono i sogni: non solo quelli notturni, basati sulla realtà che conosciamo e radicati nelle esperienze passate, ma anche i sogni a occhi aperti, che si spingono fino agli estremi di ogni possibilità.

 

Goodbye Hotel di Michael Bible

Nell’universo di Michael Bible il passato può facilmente diventare futuro e viceversa; come in un sogno di David Lynch, a una dimensione della realtà ne corrispondono infinite altre, parallele e comunicanti. Non ci resta quindi che abbandonarci al ruolo di testimoni involontari e accettare che la verità a volte risulti inaccessibile, protetta da un guscio di bugie e inganni simile a quello di una testuggine centenaria.

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L’ultima cosa bella sulla faccia della terra di Michael Bible

Mentre tutti sono raccolti in preghiera, dall’ultima fila Iggy avanza verso il centro della chiesa. Trema, e la benzina che ha portato con sé per darsi fuoco – come quei bonzi che ha visto in rete – si rovescia. Il fiammifero acceso gli cade di mano. Nel rogo muoiono venticinque fedeli. Diciotto anni più tardi gli abitanti di Harmony, una cittadina del Sud degli Stati Uniti, ancora si portano dentro quel lutto, ancora – come un antico coro – si interrogano e commentano l’accaduto. La loro versione si alterna a quella di altre figure direttamente coinvolte o appena sfiorate dalla tragedia, mentre su tutto si impone, ipnotico e straziante, il racconto del colpevole, rinchiuso nel braccio della morte. Ora che l’esecuzione si avvicina, a Iggy resta solo il rifugio nel sogno – o nel ricordo – di un’altra vita, di mille altre vite.

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Claudio Kulesko è filosofo, scrittore e traduttore. È tra i fondatori del collettivo Gruppo di Nun e tra i principali contributori alla raccolta new weird theory Demonologia rivoluzionaria (Nero, 2019). Ha pubblicato l’antologia horror L’abisso personale di Abn Al-Farabi e altri racconti dell’orrore astratto (Nero, 2022), l’ibrido theory-fiction Ecopessimismo. Sentieri nell’Antropocene futuro (Piano B, 2023) e le due novelle Al limite del possibile (Zona 42, 2024) e La palude (Moscabianca 2024). Suoi saggi e racconti sono stati pubblicati su riviste online e cartacee, nonché in diverse antologie.
 

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