Storia della fama. Genesi di otto miliardi di celebrità
Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, un estratto da "Storia della fama" di Alessandro Lolli
Al cuore di questo libro c’è l’umiliazione. Il tema in apparenza è leggero. La fama c’è sempre stata. È la sorella sciatta ma divertente della Storia. Finché la tecnologia non ha cominciato a complicarla, è stata una cosa per pochi, con dei vantaggi e degli svantaggi. Mostruosa. Deliziosa. Da quando è diventata una cosa per tutti si è trasformata in una macchina da umiliazione. Ciascuno di noi è tenuto a una qualche forma di fama: la tecnologia mette a disposizione palcoscenici di vario tipo, e non possiamo esimerci dal provare a parlare agli altri dall’alto in basso, pure a costo di scambiarci le parti continuamente per lasciare tempo agli altri di fare lo stesso. Ora che siamo costretti alla fama siamo anche costretti a farci continuamente misurare. Non nel contesto della vita normale, delle pacche sulle spalle, delle urla o delle risate. Una forma più pervasiva di misurazione.
Possiamo leggere cento articoli al giorno sugli effetti dei social media. Ci sentiremo un po’ preoccupati e un po’ intelligenti. Possiamo leggere saggi su ogni aspetto della vita contemporanea. Libri sulla politica, sul potere, sul sesso, sull’identità: ci faranno preoccupare e ci faranno sentire intelligenti.
Di tutti gli argomenti di cui poteva scrivere, Alessandro Lolli ha scelto quello che non ci farà sentire intelligenti. La fama come argomento è terribile perché ci ricorda che scegliamo ogni giorno di farci umiliare. Di diventare ogni giorno attrici e attori appena caduti in disgrazia ma senza la villa e l’aereo privato. Abbiamo accettato, nel grande o nel piccolo, di esporci e farci misurare. Ognuno ha dei numeri associati a quel che espone di sé. Numeri, non sorrisi o abbracci o risatine o dei sì e dei no. Numeri per misurare l’effetto di quel che abbiamo espresso. Un amore, una malattia, un’opera d’ingegno, la foto dei figli. Andiamo a vedere quante lucine rosse si sono accese quando abbiamo scritto della morte di qualcuno. Le stesse persone che ci regalano quei numeri, i numeri che di notte ci hanno fatto fremere ogni volta che il pallino rosso macchiava l’icona dell’app perché loro avevano reagito a quel che avevamo raccontato di noi, sono le persone che ci abbandonano oggi pomeriggio, senza nemmeno accorgersi di farlo, ci colpiscono al cuore scomparendo. Una di loro, che aveva messo il cuore il giorno prima, oggi non c’è perché è in ospedale; l’altra ha un’esame; la terza i figli con l’influenza: tutte e tre queste anime qualunque, che ieri ci innalzavano, oggi ci precipitano nell’umiliazione. Ogni giorno scegliamo di tornare da loro a implorarle. Piangiamo, loro non ci sentono piangere.
Il precedente libro di Alessandro Lolli era sui meme. I meme sono di tutta la gente. Grazie ai meme percepiamo il baluginio di un’intelligenza collettiva che fa salire una risatina verso il cielo. La fama – che la tecnologia ci concede offrendoci palcoscenici in cambio dei nostri dati – è di tutta la gente, ma ci divide. Nel pallino rosso della reazione, nel cuore, nel pollice, nella stellina non troviamo quel sentimento in cui fonderci. La fama ci divide in tante prigioni, lasciandoci affamati all’interno dei nostri corpi a implorare di ritornare al livello di fama di ieri.
Ci è voluto tempo perché Lolli trovasse dei complici con cui fare un libro sulla fama: nessuno vuole parlare sul serio dell’umiliazione quotidiana che tocca a tutti. Stiamo piangendo perché non arrivano le reazioni degli altri. Anche gli altri stanno piangendo. Un saggio sulla fama non ci fa sentire informati, ma più sporchi che mai. Cos’è che cerchiamo, anche oggi? Di esprimerci da sotto i riflettori, trattare gli altri come una massa nell’oscurità della platea? E come mai? Non sappiamo dirlo, non possiamo ammetterlo, e comunque senza una tecnologia che ci stendesse il tappeto rosso quasi nessuno di noi avrebbe mai imboccato questa strada – a eccezione di quei pochi che erano già fatti per vivere le precedenti incarnazioni della fama, quella romana, quella dei santi, quella dei salons del settecento, quella dei romanzi a puntate dell’ottocento, quella del cinema e della televisione del Novecento... tutti gli altri non avrebbero mai intrapreso quella strada se non ce l’avesse stesa davanti la tecnologia, e adesso torniamo ogni giorno a farci umiliare sperando in una reazione più forte.
Alessandro Lolli ci racconta tutte queste cose e connette i puntini senza giudicare chi cerca la fama. Non ci condanna. Nemmeno ci salva facendoci sentire speciali, attuali. Prima si prende decine di pagine per ricapitolare il percorso di questa specie di squallido iperoggetto, in modo da farci vedere la sua strada lunga e imprevedibile, poi parla di noi, oggi. E alla fine ci fa intravedere che rapporti si vanno creando con la fama non umana degli influencer AI.
Leggere questo libro ci fa sentire un po’ più nel flusso della Storia e un po’ meno nel gorgo della fama. Non ci consola, ma non ci fa nemmeno sentire stupidi. Anzi, forse tutto sommato ci consola. Viviamo nell’epoca in cui viviamo, frivolo essere apocalittici, specie se si vuole partecipare alla cosa pubblica. Perfino un ‘influattivista’ potrebbe avere un suo senso nella storia. Anche se tutto è vanità di vanità.
Non ci sarà mai modo di distinguere davvero tra le nostre velleità e i nostri talenti, tra quel che diciamo perché lo intendiamo, e quel che diciamo per vedere di nascosto l’effetto che fa.
[dalla prefazione di Francesco Pacifico]

Storia della fama: Genesi di otto miliardi di celebrità
In questo libro il concetto di fama diventa essenziale per definire la mutazione antropologica imposta dalle nuove forme di socialità virtuale, e va a prendere il posto di analogie di ordine psicologico come narcisismo, egocentrismo, mitomania, spesso adoperate confusamente per descrivere il nostro comportamento su internet.
Visualizza eBookCos'è la fama
Fama è essere noti a chi ci è ignoto.
Abbiamo parlato di fama dando per scontato di intenderci, di sapere di cosa stiamo parlando. Nella breve cronistoria tracciata fin qui, abbiamo implicitamente asserito che non sia possibile dare una definizione unitaria e metastorica della fama in quanto tale, e l’indagine storica, segnata da progressivi scatti di globalizzazione delle comunicazioni che hanno determinato cambiamenti nella percezione della fama stessa, è stata guidata da valutazioni sulla portata numerica e geografica del fenomeno. Tuttavia, se si volesse isolare una costante che abbracci tutte le esperienze di notorietà, attraverso tempi, luoghi e circostanze diverse, volendo insomma rintracciare un denominatore comune che spieghi tutte le esperienze di fama (fatta esclusione di analisi guidate da altri principi, per esempio quello quantitativo, basato sulla scala di grandezza della fama), potremmo provare a ridurre il concetto di fama a questo asserto: fama è essere noti a chi ci è ignoto. Stiamo parlando, dunque, di un rapporto di conoscenza asimmetrico.
Tale rapporto è da intendersi in termini ‘qualitativi’ e non ‘quantitativi’, come detto. Una definizione quantitativa della fama implica il paradosso del sorite: dato un mucchio di sabbia, rimuovendo un granello alla volta, è impossibile stabilire quando la quantità iniziale smetta di essere un ‘mucchio’. Dove porre il discrimine? Quante persone conoscenti servono affinché un soggetto possa essere definito conosciuto? Giulio Cesare e Billie Joe Armstrong, la rappresentante d’istituto di un liceo di provincia e il governatore della regione Lombardia, la scrittrice da milioni di copie e il blogger, l’omicida di un caso di cronaca nera e la sua vittima, il vincitore dell’ultimo Pro Tour Magic: The Gathering e il prossimo pallone d’oro. Hanno seguiti incomparabili per numero, estensione geografica e durata temporale ma sono uniti dalla qualità del rapporto che intessono con questo seguito: un rapporto di conoscenza asimmetrico, una fama.
La fama in quest’ottica non è una qualità posseduta da un soggetto ma una relazione, un tipo di relazione che lega almeno due soggetti. Non c’è persona famosa senza pubblico. E oltre a essere asimmetrica, la relazione è indiretta: non avviene dialogo tra le due persone, quella conosciuta e quella che conosce. L’informazione per passare ha bisogno di un mezzo, di un canale comunicativo a senso unico. Chiameremo questo canale palcoscenico. Il palcoscenico eleva uno sopra a molti e ammette una sola direzione espressiva. C’è chi parla e chi ascolta, chi si esibisce e chi guarda. Ovviamente il palcoscenico non deve essere letteralmente un palcoscenico – anche se molte celebrità finiscono per calcarlo prima o poi: può essere un libro, un audiovisivo, un giornale o anche il passaparola della cultura orale.
La figura del palcoscenico, però, esplicita molti elementi psicologici e sociali che rendono la fama un’esperienza qualitativamente differente da una semplice comunicazione unidirezionale: un gruppo di persone che si aspetta qualcosa da chi ha avuto l’ardire di elevarsi sopra di loro e che può premiare questa elevazione con l’applauso, punirla con i fischi o lasciarla nell’indifferenza.
Rielaborando, possiamo quindi considerare la fama come un rapporto di conoscenza asimmetrico e indiretto che si instaura tramite un medium.

Storia della fama
Il concetto di fama ha una lunga storia che ha subìto almeno due accelerazioni decisive nel corso degli ultimi decenni: la prima con il divismo e la nascita della celebrità moderna, la seconda con l’avvento dei social network. In questo libro il concetto di fama diventa essenziale per definire la mutazione antropologica imposta dalle nuove forme di socialità virtuale, e va a prendere il posto di analogie di ordine psicologico come narcisismo, egocentrismo, mitomania, spesso adoperate confusamente per descrivere il nostro comportamento su internet. Gran parte dell’umanità è in realtà immersa in quella che prima di essere una condizione psicologica è una condizione sociale: la prospettiva di una celebrità allargata all’umanità intera. E le conseguenze di questa intuizione sono espresse in ciò che viviamo oggi, anche in senso politico: è percorrendo la la storia della fama che possiamo scardinare radicalmente il nostro modo consueto di concepire la comunicazione e la relazione umana.
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