Come scegliere la giusta prospettiva narrativa per la tua storia?
Ogni storia deve avere la sua voce o, per dirla in gergo, il suo punto di vista, la sua prospettiva narrativa. Quando leggiamo, infatti, siamo spettatori, e seguiamo chi narra - un lui, una lei, qualcuno di ignoto - attraverso il dipanarsi della storia.
Per questo, la prospettiva narrativa è una delle scelte più importanti che possa fare un romanziere prima di mettersi a scrivere. In particolare, le due scelte più comuni sono la prima persona o la terza persona. Le seguono altre soluzioni meno utilizzate, come la seconda persona singolare.
Entrambe hanno caratteristiche ed effetti diversi: in questo articolo andremo a valutarli insieme, così che tu possa scegliere quale si adatta meglio alla tua storia e al tuo stile.
Prospettiva narrativa: che cos’è e a cosa serve?
In comunicazione, esiste un assunto: non si può non comunicare. In letteratura, potremmo adattarlo con “non si può non avere un punto di vista”.
La prospettiva narrativa è la posizione da cui gli eventi della storia e la sua narrazione prendono atto. Attraverso essa, noi lettori abbiamo la possibilità di seguire il dipanarsi della trama e, in alcuni casi, i pensieri del personaggio.
La scelta del punto di vista definisce chi parla (narratore onnisciente o no, protagonista o narratore esterno), il modo in cui lo fa (Jane Eyre parlerà in modo molto diverso da Benjamin Malaussène) e la quantità di informazioni a cui il lettore ha accesso ( ricordiamo sempre l’esistenza dei narratori inaffidabili!).
I tipi di prospettiva narrativa usati più spesso sono tre:
- Prima persona: il protagonista ci parla direttamente, usa l’“io”. Un esempio è Parlarne tra amici di Sally Rooney.
- Terza persona limitata: il narratore usa la terza persona (“lui/lei”). Noi che leggiamo conosciamo solo il suo punto di vista, perché viviamo la storia attraverso i suoi occhi. Un esempio celebre è quello di Harry Potter nella saga omonima: noi scopriamo i misteri andando avanti romanzo dopo romanzo, esattamente come Harry.
- Terza persona onnisciente: il narratore, in questo caso, sa ogni cosa dei suoi personaggi: passato, pensieri, idee, e anche ciò che accadrà nel futuro. Crea una visione panoramica, che però può sembrare leggermente distaccata dal punto di vista emotivo. Un esempio classico? Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez, in cui tutti i membri della gigantesca famiglia Buendìa sono conosciuti in profondità dal narratore.
Caratteristiche delle diverse prospettive narrative
Ora che conosciamo l’esistenza delle prospettive narrative, viene spontanea una domanda: cosa le differenzia e quando è preferibile usare una rispetto all’altra?
Ciascuna ha delle caratteristiche che si adattano meglio a certi tipi di storie. Ti suggeriamo, quindi, prima di tutto di capire cosa vuoi raccontare, in che modo, e quali emozioni vuoi suscitare nel lettore.
Ma approfondiamo i dettagli dei due punti di vista, con alcuni esempi. Tra poco sarà tutto più chiaro (e magari avrai anche aggiunto qualche titolo alla tua wishlist!).
La prima persona: la vicinanza al protagonista
La prima persona è quella che crea maggiore vicinanza con il personaggio (spesso il protagonista) che abbiamo deciso di seguire.
Siamo nei suoi panni, e il punto di vista è filtrato dalla sua esperienza e dalle sue parole.
I pensieri, le convinzioni, i manierismi sono squisitamente suoi, e chi narra deve astenersi da giudizi di valore o anacronismi. Ad esempio, se stiamo scrivendo un romanzo storico e siamo nella testa di un soldato della Seconda Guerra Mondiale, leggere che “aveva ricevuto una mail dalla moglie” ci farebbe istintivamente storcere il naso.
Un esempio emblematico lo possiamo trovare in Ossessione, di Stephen King. Siamo nella testa di Charlie, un ragazzo che, al posto di trovare il supporto psicologico di cui avrebbe bisogno, si imbatte nella pistola del padre, con cui tiene sotto scacco tutta la classe.
È ovvio che King non sia a favore delle sparatorie - anzi, il romanzo è proprio una riflessione su quei fatti di cronaca e sull’importanza del supporto alle persone più fragili, oltre che una denuncia contro la facilità di reperire le armi negli USA. La ragione è semplice: non è lui che parla, è Charlie.
Se iniziasse improvvisamente a declamare un sermone contro le pistole, romperebbe la sospensione dell'incredulità.
Quando usare questa prospettiva? Quando vogliamo puntare sulla forza dell’emotività e far empatizzare con un personaggio, oppure quando la storia ha un tono particolarmente intimo - o, al contrario, un personaggio principale molto forte. La profonda connessione emotiva e la voce personale la rendono perfetta per generi come i romanzi di formazione o i diari.
Puoi anche giocare con questo punto di vista, rendendo il tuo narratore o la tua narratrice inaffidabile, come in Eleanor Oliphant sta benissimo. Quando siamo nella mente del nostro personaggio, pensiamo di sapere tutto quello che succede: in realtà, potrebbe essere la prospettiva più miope possibile…
Tieni sempre conto dell’inaffidabilità potenziale e della conoscenza non esaustiva del mondo del tuo personaggio. Inoltre, potrebbe essere poco adatta a raccontare eventi molto distanti nel tempo.
La terza persona limitata: l’equilibrio perfetto
Il principale vantaggio della terza persona limitata è la profonda versatilità. Si tratta infatti di una prospettiva narrativa che permette di avere il focus su un solo personaggio alla volta. La scrittura usa la terza persona singolare, ma noi vediamo il mondo attraverso gli occhi del personaggio stesso.
In questo modo viene mantenuta la connessione emotiva con il personaggio, e possiamo renderla affidabile pur mantenendo i limiti di una prospettiva individuale. Infatti, sappiamo del resto della storia esattamente quanto ne sa lui o lei. Limita la nostra conoscenza del mondo della storia, pur mantenendo una vicinanza emotiva.
È anche molto interessante per giocare con una prospettiva multipla, ad esempio come nei capitoli alternati nelle Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin.
Questa prospettiva narrativa permette di mantenere un equilibrio tra emotività e oggettività, mantenendo meglio la suspence e permettendo di avere descrizioni più obiettive.
Si tratta, non a caso, di una delle prospettive più usate: non solo in Harry Potter, come dicevamo, ma anche nella saga di romanzi gialli Le indagini di Anita di Alice Basso: la dattilografa Anita Bo non è la narratrice, ma noi non stiamo neanche ascoltando un narratore onnisciente, elemento che ci permette di svelare il mistero insieme alla protagonista, scoprendo insieme un indizio dopo l’altro.
La terza persona onnisciente: il narratore universale
Quando il narratore sa ogni dettaglio della storia, occasionalmente provandolo con flashback e foreshadowing, conosce i pensieri dei personaggi e le loro emozioni, allora siamo davanti a un caso di terza persona onnisciente.
Si tratta di una prospettiva narrativa più distaccata, che veniva usata soprattutto nei decenni passati.
Si trova infatti molto spesso nei classici, da Anna Karenina, in cui il narratore onnisciente esplora la vita di più personaggi, offrendo una visione universale della società russa, a Moby Dick, in cui l’autore guida il lettore tra azioni, pensieri e riflessioni filosofiche, passando per il già citato Cent’anni di solitudine.
Proprio per le sue origini, è perfetto per delineare una storia complessa, dai toni epici e dalla morale forte, con i personaggi dichiaratamente schierati con il bene o con il male. Permette di avere una visione completa e complessa della storia e dei personaggi (se hai pensato a Tolkien e al suo Il signore degli anelli, hai assolutamente ragione!).
Grazie alla possibilità di esplorare più personaggi allo stesso tempo, e l’utilizzo di tecniche come prolessi e analessi mantengono la tensione e le aspettative sempre alte. Le sue caratteristiche lo rendono perfetto per romanzi storici o fantasy (qui trovi la nostra guida su come scriverne uno!), ma rischia di risultare dispersivo se l’organizzazione della storia non è ben curata.
Altre soluzioni da provare con la prospettiva narrativa
Per fortuna, il mondo della prospettiva narrativa è vastissimo, e la sperimentazione è sempre possibile.
In particolare, ci sono tre soluzioni che permettono di giocare in modo non convenzionale con il punto di vista del narratore: le elenchiamo brevemente.
- Seconda persona: usa il “tu” per rivolgersi al lettore, come in Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino.
- Narratore multiplo: i punti di vista si alternano, dando vita a un romanzo corale, e talvolta a far luce su una vicenda da più angolazioni. Abbiamo già nominato, in questo caso, la saga fantasy di J.R.R. Martin.
- Narratore inaffidabile: non possiamo fidarci di ciò che ci racconta il narratore, perché potrebbe mentire volontariamente oppure non conoscere tutta la verità. Alcuni romanzi che usano questo punto di vista sono L'incubo di Hill House di Shirley Jackson, L’amore bugiardo di Gillian Flynn o L’altro di Thomas Tryon.
Come scegliere la prospettiva narrativa giusta per il tuo romanzo
Con così tanti punti di vista narrativi tra cui scegliere, potresti chiederti quale fa più al caso tuo.
La chiave sta nella tua storia e nell’esperienza che vuoi far vivere al lettore.
La voce del tuo protagonista è unica e riconoscibile? La vicinanza emotiva è importante? Quanto il lettore deve conoscere e quanto deve essere nascosto fino alla fine?
La chiave, qui, è lasciarti la libertà di sperimentare. Potresti pensare che un narratore onnisciente sia la soluzione migliore, per poi scoprire che il tuo protagonista ha un mondo da condividere con il lettore, e passare così alla prima persona singolare.
Puoi anche provare a riscrivere una scena da diverse angolazioni, per vedere quale suona meglio.
La prospettiva narrativa è lo strumento che definisce come i lettori vivono la tua storia. Scegli quella che ti sembra più adatta, ma non smettere di sperimentare e trova la tua voce. Un fantasy in prima persona o uno romance in terza persona limitata possono essere interessanti, se scritti con attenzione.
E soprattutto, divertiti quando sei alla tastiera: è la cosa più importante. Sì, più ancora della prospettiva.
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